Chi mi conosce sa che sono sempre stato appassionato di studi di psicologia sociale ed etologia (lo studio del comportamento animale) perché, nonostante la radice spirituale che anima ciascuno di
noi, la sociobiologia dimostra senza ombra di dubbio che l’essere umano è, e si comporta quotidianamente, come un’animale sociale la cui vita pubblica è assimilabile a quella di tanti animali che
vivono in branco, come i lupi, le scimmie, i pappagalli, i topi e le pecore. In tal senso, impietosamente, gli studi suddetti e più specificamente quelli di psicologia delle masse dimostrano che
quando guardiamo i gruppi di persone, piuttosto che il singolo individuo, la differenza fra comportamenti animali e umani diventa pressoché nulla.
La vita in branco, nelle sue varianti di specie che lo definiscono anche stormo, banco, mandria, gregge o colonia, implica una certa omogeneità nel comportamento degli individui, oltreché una
gerarchia organizzativa e una certa divisione dei compiti. Il gruppo tende ad agire insieme, ma che ciò non avviene come risultato di una pianificazione o di un coordinamento; piuttosto, ogni
individuo sceglie il comportamento in corrispondenza con la maggior parte degli altri membri per imitazione e per uguaglianza di risposta alle stesse circostanze esterne. Laddove sono presenti
ruoli differenziati e gerarchie, questi sono coordinati attraverso forme di comunicazione manifeste, come versi e atteggiamenti motori, o implicite, come segnali chimici.
Un ristretto numero di animali, tipicamente uno o due, hanno ruoli di leadership ed ispirano e guidano il comportamento degli altri, mentre altri individui possono manifestare atteggiamenti poco
conformisti rispetto al gruppo pur rimanendo all’interno dello stesso, e costituiscono i devianti, altri ancora, principalmente per le loro limitazioni e difetti, laddove non vengono aiutati,
come accade fra animali capaci di comportamento altruistico, vengono isolati e quindi esclusi dal gruppo, abbandonati e costretti a cavarsela con le loro forze.
Per il singolo individuo, i vantaggi del vivere in gruppo sono numerosi: una probabilità maggiore di non essere attaccati da un predatore e in generale una migliore difesa dagli stessi, magari
facendo in modo che i predatori prediligano alcuni individui a beneficio di tutti gli altri, una vigilanza collettiva che permette un migliore controllo dell’ambiente circostante, un migliore
guadagno di energia dal nutrimento per effetto della riduzione di comportamenti di allerta durante il mangiare, lo sviluppo di una più efficiente risposta immunitaria, la conservazione
dell’energia per un migliore mantenimento della temperatura e facilitazione del movimento, una maggiore facilità di accoppiamento, l’apprendimento per imitazione di modelli cognitivi, emotivi e
comportamentali, la validazione da parte del gruppo di nuove condotte individuali che vengono progressivamente acquisite dagli altri quando si rivelano efficaci (cascata informazionale), la
maggiore sicurezza personale all’interno di un sistema di vita conosciuto e prevedibile dove il modo di agire del singolo è regolato dal gruppo e funzionale ad esso.
L’identità fra uomini e animali dal punto di vista delle dinamiche psicologiche fondamentali è un tema ben noto fra gli psicologi istruiti. Già Pavlov nell’ultimo decennio dell’ottocento
conduceva studi sui cani per indagare le dinamiche dei riflessi condizionati, e dagli anni ’30 ai ’70 del novecento gli esperimenti di Skinner su topi e piccioni ci hanno svelato i più reconditi
segreti dei processi di apprendimento. Vale la pena ricordare a riguardo la nota scoperta della “superstizione dei piccioni”: quando a un piccione chiuso dentro una gabbia viene fornito del cibo
per effetto di un timer, che lo eroga automaticamente dopo un certo lasso di tempo, il piccione tenderà a eseguire ripetutamente, in modo ritualizzato, i comportamenti spontanei che aveva pochi
istanti prima che nella gabbia comparisse il cibo, come se il suo atteggiamento avesse favorito la comparsa del cibo. Curiosamente, questo esperimento, che funziona benissimo sui piccioni, non
funziona sui topi, che invece capiscono l’inghippo legato al tempo; si deduce quindi che una buona fetta di esseri umani, avvezzi ad atti superstiziosi e scaramantici di ogni genere, arriva ad
avere l’intelligenza di un piccione (il che è bene, in quanto non è affatto scemo), ma non quella di un topo!
Com’è noto, noi umani condividiamo circa l’85% del DNA codificante con i topi, che per questo vengono usati nei modi più orribili da quella mostruosa pratica occidentale che chiamiamo “ricerca
scientificah in medicina”, al fine di individuare quali farmaci e trattamenti distruggeranno la vita delle persone umane senza ucciderle all’istante, ma un po’ più in là nel tempo, così che le
aziende possano farci i soldi sopra nel mentre e i governi possano risparmiare sulla spesa pensionistica al momento opportuno. Per scopi assai più nobili ed utili, pochi sanno che i topi, e in
generale i roditori, vengono usati anche in moltissimi esperimenti comportamentali, assai meno cruenti, e per due ottime ragioni. La prima, perché sono una specie sociale che presenta
interazioni, affiliazioni, rituali sessuali, comportamenti di genere, accudimento parentale della prole, giocosità nell’infanzia, dinamiche di dominanza sociale con uso strumentale
dell’aggressività, dinamiche socializzate di riconoscimento, memoria e comunicazione analoghe a quelle della nostra specie. La seconda, perché anche in uno spazio di laboratorio piuttosto piccolo
è possibile ricostruire una società muride piuttosto numerosa e dunque articolata, cosa che sarebbe impossibile da realizzare con scimmie, lupi, delfini ed elefanti, ad esempio.
Qui la questione si fa appassionante, perché mentre lo statunitense Skinner, quello dei piccioni, più di mezzo secolo fa usava topi a profusione per studiare i processi di apprendimento, negli
stessi anni un altro americano, il biologo John Bumpass Calhoun, iniziava lo studio delle dinamiche sociali dei roditori. Calhoun, classe 1917, fin da bambino appassionato ornitologo, figlio di
un’artista e di un preside di liceo, contrastato dal padre che lo voleva impiegato, si avviò alla carriera universitaria fino a diventare professore nel 1943 con una tesi sul ciclo circadiano del
ratto norvegese; iniziò quindi una serie di studi sperimentali sulle dinamiche sociali dei ratti e dei topi, molti dei quali durarono diversi anni, che proseguirono fino al 1962.
Grazie a questi studi Calhoun ha scoperto che i ratti, quando posti in uno spazio chiuso che li costringeva ad una sovra-interazione sociale, ad esempio posizionando gli erogatori del cibo solo
in pochi punti dell’area, anche quando era costituito da un’area di oltre novecento metri quadri sovrabbondante di nutrimento e confort e capace di sostentare fino a cinquemila ratti, dopo poco
più di due anni si autolimitavano ad una popolazione di circa centocinquanta individui, divisa in gruppetti di una dozzina di ratti circa, e il cui comportamento era massicciamente alterato. La
mancata crescita del gruppo era infatti dovuta prevalentemente all’elevatissima mortalità infantile, poiché le femmine si accoppiavano poco, le gravidanze spesso non venivano portate a termine e
i pochi nati venivano frequentemente abbandonati a morire. La scarsa natalità e il lieve aumento della mortalità erano dovute a distorsioni comportamentali, poiché l'organizzazione sociale era
stata alterata da una ricerca spasmodica di interazione che Calhoun chiamò “fogna del comportamento”. Al momento dell’alimentazione gli animali si affollavano insieme in gran numero in uno dei
quattro siti di interconnessione dell’area, con il risultato che il sito scelto per mangiare aveva una densità di popolazione estrema, mentre gli altri tre erano quasi vuoti, e i ratti
patologicamente socializzati non mangiavano se non in compagnia di altri ratti, nutrendosi peraltro in modo anomalo, con tendenze bulimiche o altre alterazioni del comportamento alimentare.
Mangiare, dormire e altre attività biologiche erano divenute attività sociali dove la soddisfazione principale era l'interazione con altri ratti, nonostante tale interazione comportasse massicce
alterazioni patologiche di attività come il corteggiamento dei partner sessuali, la costruzione dei nidi, l'allattamento e la cura dei piccoli. Dove si presentava la fogna comportamentale, la
mortalità infantile raggiungeva il 96% tra i gruppi più disorientati della popolazione rattesca.
In pratica, la sovra-interazione sociale causava la fogna comportamentale, una forma di pazzia condivisa che nel lungo periodo distruggeva i gruppi e le comunità sociali. Nel 1968 Calhoun
progettò un imponente esperimento con dei topi che avrebbe dimostrato in modo inequivocabile questo fenomeno di patologia relazionale e lo chiamò “Universo 25”. Lo spazio era un serbatoio
quadrato con un lato di circa tre metri con mura alte un metro e mezzo circa dove i topi potevano arrampicarsi liberamente senza tuttavia poter fuggire. Su ogni muro erano saldati sedici tunnel
in maglia di ferro, con quattro corridoi orizzontali che li attraversavano da parte a parte, fornendo così oltre duecentocinquanta ripari in cui costruire altrettanti nidi, ciascuno dei quali
abbastanza grande da ospitare quindici topi. Acqua e cibo erano illimitatamente disponibili, l'ambiente veniva pulito ogni mese, la temperatura mantenuta costante e il rischio di malattie
genetiche o congenite nei topi progenitori eliminato selezionando i migliori esemplari dalle colonie del National Institutes of Health. Sulla carta, Universo 25 avrebbe quindi permesso la comoda
sopravvivenza di una comunità di circa quattromila topi per un tempo indefinito.
Vennero introdotte quattro coppie di super-topi, privi di ogni debolezza o imperfezione, che dopo circa tre mesi di adattamento iniziarono a riprodursi, arrivando a raddoppiare la propria
popolazione ogni cinquanta giorni circa. Tuttavia, dopo meno di un anno, raggiunti i seicento topi, lo spazio iniziò a scarseggiare, iniziarono ad emergere anomalie comportamentali e il tasso di
crescita rallentò sensibilmente. I nuovi nati si ritrovavano in un mondo ogni giorno più affollato, in cui vi erano più individui che ruoli sociali disponibili in seno alla gerarchia dei topi e
quelli occupati erano costantemente minacciati dai nuovi individui. Comparvero comportamenti distruttivi e antisociali in tutta la colonia dato che i normali rapporti sociali, occasionali e
diradati, erano impossibili, e con essi la capacità dei topi di formare legami. Lo stress di dover difendere il territorio e le proprie femmine da innumerevoli contendenti portò i maschi
dominanti ad abbandonare il loro compito, e li rese estremamente aggressivi, arrivando a condurre gruppi che attaccavano le femmine e i piccoli oltre ai loro rivali; altri maschi divennero
frenetici e pansessuali, intenti alla ricerca di rapporti sessuali con qualsiasi topo a disposizione, che fosse maschio, femmina, giovane o vecchio. Le femmine, senza più alcuna protezione, si
rifugiarono presso i nidi più alti della colonia, spesso radunandosi in gruppi composti solamente da individui del loro genere; costrette a consumare energie per difendere i propri nidi e se
stesse, trascuravano i ruoli materni abbandonando la prole a sé stessa, arrivando anche ad attaccarla. Come era accaduto nei precedenti esperimenti con i ratti, in alcune aree dell’habitat la
mortalità infantile raggiunse il 96% e comparvero casi di cannibalismo, nonostante il cibo fosse ancora ampiamente disponibile per tutti.
Universo 25 era abitato a questo punto da un ristretto numero di topi forti, prevalentemente maschi, ancora equilibrati a livello comportamentale, e tre gruppi di topi disadattati. Il primo e più
numeroso di questi era costituito dai topi più deboli, esclusi dai forti e rifiutati dalle femmine; provati psicologicamente, cercavano di sopravvivere radunandosi al centro dell'habitat, dove la
loro vita massificata scorreva senza stimoli, se non con occasionali stati di frenesia e qualche insensato atto di violenza rivolto contro sé stessi. Il gruppo delle femmine che non sopportavano
lo stress dovuto a maschi o iperattivi o inetti all’accoppiamento, si spostò nei nidi più elevati e reclusesi lì allontanavano i maschi, verso i quali avevano iniziato ad avere paura e rifiuto
sprezzante. Un terzo gruppo venne costituito dai topi, perlopiù maschi, che non si lasciavano coinvolgere nelle lotte e non apparivano più interessati alla riproduzione, ma sembravano interessati
solo a sé stessi, poiché erano socialmente isolati e le loro uniche attività erano mangiare, dormire e lisciarsi il pelo; dato che si distinguevano dagli altri per l’assenza di ferite e per il
pelo bianco e lucido, Calhoun li chiamò "i belli".
Dopo più di un anno e mezzo la popolazione dei topi raggiunse i duemiladuecento individui e la sua crescita si fermò del tutto. Cannibalismo, pansessualismo ed esplosioni di violenza continuavano
senza sosta; la società dei topi collassò, pochi nuovi nati riuscirono a superare lo svezzamento, vi furono pochissime gravidanze e quelle fra queste che arrivarono a termine vedevano i cuccioli
spesso nati morti. I topi ancora in grado di riprodursi avevano perso la capacità sociale di farlo e la colonia si avviò quindi all'estinzione. Nonostante, infatti, man mano che i topi morivano
si liberasse sempre più spazio e la frequenza delle interazioni tornava a livelli normali per poi divenire estremamente diradata, i topi sopravvissuti non riprendevano la normalità
comportamentale, poiché i vecchi l’avevano perduta irreversibilmente e i giovani non l’avevano mai imparata. Dopo circa quattro anni dall’inizio dell’esperimento, tutti i topi erano morti e
Universo 25 era divenuto uno spazio vuoto. La sovra-interazione aveva annichilito la capacità sociale dei topi, tanto che Calhoun chiamò la fogna comportamentale “prima morte”, definendola
un’anticipazione della seconda morte, quella fisica, che diveniva ineludibile, non solo per l’individuo, ma per la sua intera comunità.
Calhoun condusse vari altri esperimenti analoghi, ma i risultati non mutarono mai. Già negli anni ’60 del novecento le sue scoperte erano state divulgate al grande pubblico dai media, che ne era
rimasto sconvolto, e la risonanza culturale dei suoi esperimenti lo portò nel 1973 davanti a Papa Paolo VI, che ha voluto incontrarlo di persona. Sulla generalizzabilità dei suoi risultati e
dunque la loro trasposizione dal mondo dei topi a quello degli umani molto è stato scritto, ma l’opinione dei ricercatori è che sì, sono piuttosto sovrapponibili quando osserviamo gli ambienti
urbani delle diverse nazioni del mondo; viene dunque da chiedersi se siamo già caduti nella fogna del comportamento di Calhoun. Se Universo 25 è durato circa quattro anni, raggiungendo il punto
di collasso dopo meno di due, traducendo l’aspettativa di vita topesca in termini umani diremmo che il punto di non ritorno di una civiltà si raggiunge dopo circa vent’anni di sovra-interazione,
e l’estinzione della civiltà approssimativamente nei sessant’anni successivi a questo punto. Dobbiamo comunque tenere conto che Universo 25 era un luogo chiuso, mentre le nazioni e le comunità
reali sono luoghi aperti e questo, per effetto dei flussi migratori fra zone più e meno urbanizzate o da un Paese all’altro, può allargare i tempi appena indicati e scongiurare un’estinzione
completa della comunità. Ciò nonostante la tendenza irreversibile alla riduzione della natalità è un indice inequivocabile che la fogna comportamentale si è presentata, e l’Italia è entrata nella
fase di crescita zero quarant’anni fa.
Dunque la nostra civiltà sarà estinta entro vent’anni circa, nel senso che già oggi le nuove generazioni, comunque sempre meno, non saranno in grado di riprodurre quanto è stato progressivamente
perduto in termini sociali, culturali, lavorativi ed economici, e fra due decenni chi ancora potrà e avrà il coraggio di definirsi “italiano” intenderà qualcosa che per i suoi connazionali di
oggi non avrà alcun senso; il rapporto fra noi e loro sarà analogo a quello che lega la pasta e pizza americane a quelle italiane, e coloro che nascono oggi nelle grandi città fra vent’anni
potrebbero serenamente mangiare insetti alla griglia senza sapere cos’è la carbonara (ti prego Dio fammi morire prima di vedere tutto ciò).
Non dimentichiamoci che il crollo demografico, la deurbanizzazione, il declino del potere centralizzato, la decadenza culturale e sociale, il regresso del commercio e dell’economia, le invasioni
e le migrazioni di massa che iniziarono nella tarda antichità (all’incirca dal trecento dopo Cristo), sfociarono poco più di un secolo dopo nel periodo altomedievale, cinquecento anni di buio
della mente e dell’anima dove guerra, ignoranza, miseria, malattia e violenza erano la norma quotidiana. Tali tempistiche relativamente allungate di transizione epocale dalla prosperità antica
all’abisso medievale sono da spiegarsi con la benedetta assenza dei mezzi di comunicazione di massa, per cui le transizioni culturali ed esistenziali erano legate ai tempi dilatati della
trasmissione delle informazioni nel mondo, quindi ad una sovra-interazione rallentata. Negli ultimi cento anni lo sviluppo tecnologico della comunicazione ha invece permesso una diffusione delle
informazioni tanto massiva da far definire il mondo un “villaggio globale”, un luogo interattivo dove ogni evento locale diviene collettivo, almeno entro un certo grado di partecipazione,
accelerando enormemente i tempi delle transizioni epocali. Infatti, ahimè, le merdate dei Maneskin oggi le sanno pure in Cina e noi possiamo leggere l’ultimo best-seller sudafricano non appena lo
traducono in una lingua che conosciamo, e mentre aspettiamo ci guardiamo film noir giapponesi o serie tv spagnole.
Fortunatamente, il villaggio globale poi così globale non è, e quindi le macro-regioni del mondo sono in realtà relativamente chiuse le une alle altre; in termini informazionali, ad esempio,
possiamo dire che il mondo occidentale americanizzato non è connesso con quello cinese, così come quello nell’area d’influenza russa non comunica molto con quello sudamericano o indiano. Ciò
nonostante, all’interno di queste regioni informazionali ognuno di noi vive oggi dentro una doppia comunità mentale, ben più ampia di quella che si sviluppa nella sfera materiale in cui è
racchiuso a livello abitativo: quella delle reti sociali, che in generale permettono uno scambio di informazioni fra pari, e quella dei tradizionali mezzi di comunicazione di massa, che sono i
portavoce della classe dominante governativa e sovra-governativa e della loro visione del mondo.
Chi vive nei grandi centri urbani già da decenni viene quindi sovra-stimolato dalle interazioni dovute al sovraffollamento abitativo, come il traffico, le file, le folle nei punti di scambio, che
si accompagnano all’impossibilità di stare soli in qualsiasi ambiente cittadino fuori dalla propria casa, che quasi sempre è condivisa con altre persone, e dalle interazioni a senso unico
omni-pervasive con i media, quali radio, tv e giornali. Trent’anni fa iniziava la diffusione dei telefoni cellulari e dieci anni dopo iniziava quella dei social-network, che hanno creato una
massiva sovra-stimolazione interattiva di tipo orizzontale, mediata dalla tecnologia, che si è sommata alle precedenti due fonti. Chiunque viva nel moderno mondo urbano sa che qualsiasi atto
compie è divenuto simbolico e sociale, e infatti posta ogni stronzata che produce, dalla sua espressione facciale deformata davanti allo specchio all’ennesimo piatto di pasta che si mangia, per
deliziarci tutti con le immagini di ogni località attraversi anche solo col pensiero.
Uno dei siti complottisti che leggo spesso, un po’ estremo in termini di tradizionalismo ma per niente scemo, Renovatio21, riporta un confronto analitico fra Universo 25 e società attuale, a
firma dell’intransigente Roberto del Bosco, che trovo opportuno riportare per intero perché altrimenti mi ritroverei a plagiarla in larga parte:
“[…] Tuttavia, il paradiso dei topi negava il fondamento stesso del pensiero depopolazionista […], ossia il malthusianesimo: le società crollavano non per mancanza di risorse, ma al
contrario, per l’abbondanza di esse. Alle bestiole dell’utopia muride non mancò mai nulla. Cibo. Acqua. Protezione dai predatori e dalle intemperie: erano schermati dalla morte e dal rischio,
dallo sforzo e dal dolore. E, a quanto pare proprio per questo, il loro mondo implodeva nell’orrore e nell’aberrazione. È impossibile a chiunque non vedere oggi dei paralleli inquietanti con la
società umana dell’ora presente.
- La nostra società celebra le donne che uccidono i loro figli, per aborto o per infanticidio. Il femminismo, l’idea di una società anche solo composta da femmine dove il maschio è assente, è
fonte di ispirazione. [Mi sembra necessario aggiungere subito dopo questa voce l’adeguata controparte che è la normalizzazione del femminicidio, un fenomeno che appassiona, senza scandalizzare,
soprattutto le donne e che viene largamente legittimato dai maschi.]
- Omosessualità e transgenderismo sono apparsi nella nostra società in modo impellente. Non solo il loro fenomeno è evidente, ma è oramai inevitabile la loro nobilitazione.
- Stessa cosa dicasi per la pedofilia e il cannibalismo che […] stanno facendo il loro viaggio attraverso la Finestra di Overton. I giovani e i vecchi sono abusati e sfruttati: uccisi,
eutanatizzati, usati come parti di ricambio dalla scienza farmaceutica o come concime dalle nuove leggi di inumazione dei cadaveri.
- La nostra società è aperta a elementi di violenza improvvisa e gratuita, talvolta anche diretta contro sé stessi.
- Le capacità di legame sociale sono terminate: la quantità di stronzi che vi hanno urlato di mettervi la mascherina nel biennio COVID […] ne sono la dimostrazione lampante.
- Il narcisismo domina ampi settori della società: i selfie, i vestiti della moda costosa sino al parossismo lo stanno dimostrando. Così come la celebrazione dell’edonismo di chi, come il
gruppo dei topi «belli», passa il tempo a godere dei piaceri della vita, il cibo degli chef, il relax alla SPA, e poi tante ore a truccarsi ed agghindarsi, come le serque di influencer, di
Instagram models che arrivano dritte al vostro telefonino. […]
- Il crollo della fertilità maschile e femminile è un dato su cui poniamo sempre attenzione: ora, con il vaccino COVID, possiamo dire che la cosa è stata perfino accelerata dal
programma.
- Tribalizzazione della società, con polarizzazione estrema tra gruppi sociali.
- Disinteresse totale per la riproduzione umana, vista anzi come problema per il godimento edonista dell’individuo e per l’esistenza stessa del pianeta, disinteresse che si riflette
pienamente nell’ascesa delle perversioni sessuali che divengono sempre più mainstream.
- Il tutto accade in un modo sempre più intriso della mistica del welfare state, uno «stato sociale» onnipervadente che rende ogni lavoro inutile, in quanto il «reddito di cittadinanza» è,
come per i topi, garantito fino alla fine del mondo.
Diteci, per favore, quale di queste voci non vi sentiate di spuntare.
«In sintesi, la popolazione in sé non è il problema. Il collettivismo e lo stato sociale sono ciò che porterà all’auto-annientamento dell’umanità» scrive Mike Adams di Natural News, che ha
ritirato fuori con saggezza l’esperimento del paradiso topolino. Come afferma l’economista afroamericano Thomas Sowell, «lo stato sociale protegge le persone dalle conseguenze dei propri errori,
consentendo all’irresponsabilità di continuare e di prosperare tra circoli sempre più ampi di persone». «La mancanza di sfide rovina gradualmente il comportamento delle generazioni successive di
una popolazione. Questa degenerazione è inevitabile e porta all’eventuale autoestinzione. A causa della mancanza di sfide, l’estinzione di una popolazione è inevitabile. Dura diverse generazioni,
ma è inesorabile» concludeva il bioetico Kuban. Dove cibo e altre risorse sono prontamente disponibili, i bambini non imparano a conoscere la competizione, la scarsità, le abilità, la
socializzazione o il merito. Per quanto possa sembrare controintuitivo, è la scarsità che si traduce in apprendimento e leadership, e senza scarsità c’è solo ingordigia, apatia e
collasso.
Nota bene, quindi: il crollo della società passa anche soprattutto per il crollo dell’educazione, con i bambini che, quando non sono cannibalizzati o stuprati, non trovano più alcun modello
di comportamento offerto dagli adulti, divenuti accidiosi, pazzi e orrendi. Senza un’immagine superiore da seguire – un’immagine spirituale, verrebbe da dire – la prole è destinata a morire o
diventare parte dell’orgia di sangue in cui si trasforma la società. […]”
Che dire? Caro Roberto, sei estremo, ma giusto.
Faccio anche notare che le élites turbomondialiste vengono spesso percepite da noi schiavi come esterne al meccanismo della fogna comportamentale, ed esse stesse credono di governarlo e di
indirizzarlo, ma in realtà ne sono piena espressione e sono in esso totalmente immerse. Se i massoni avessero un corrispettivo nella società murina di Universo 25, sarebbero una particolare
tipologia di topi belli, capaci, pur rimanendo distanti e isolati, di influenzare le masse instupidite e dimentiche della loro identità. Solo individui intelligenti come topi che hanno perduto il
senno a causa di una reazione di distacco dai loro simili possono infatti pensare di sterminare le masse, magari con una sequela di pandemie, magari con una bella guerra mondiale, al fine di
portare la società al nuovo modello organizzativo che la quarta rivoluzione industriale transumanista richiede, ovvero una società svuotata dai loro consimili, ridotti in un’idiota schiavitù, e
orientata all’edonismo. Grazie al Cielo, la Storia e il destino di Universo 25 ci insegnano che le élites vengono sistematicamente sterminate da quegli stessi popoli che hanno portato al
collasso, ed io aspetto con ansia la Notte dell’Uomo Bruciato che Rasputin ci ha promesso.
Massoni e loro auspicabile futura estinzione a parte, ai fenomeni di degrado sociale che accomunano uomini e topi vorrei aggiungere qualcosa che nel mio lavoro quasi ventennale come
psicoterapeuta che ha seguito diverse centinaia di persone ho osservato nel tempo, ovvero il delinearsi di tendenze inquietanti nello sviluppo della personalità degli individui che cercherò di
sintetizzare qui:
Immaturità: la stragrande maggioranza delle persone che ho conosciuto è ferma a stadi di sviluppo psicologico infantile o adolescenziale, dove i temi di pensiero che dominano la mente sono il
timore abbandonico nei rapporti affettivi, la preoccupazione per l’accettazione sociale e per la propria desiderabilità sessuale. Quasi nessuno ormai coltiva ambizioni di crescita personale
legate alla realizzazione in ambito lavorativo o alla costruzione di una famiglia, appoggiandosi al mantenimento erogato dai propri genitori fino ad età indecorose, senza alcun pudore verso la
propria condizione di dipendenza e assenza di autonomia psicologica ed economica. Quelli che invece conservano ambizioni, possiedono spesso una personalità narcisistica o antisociale e sono
conseguentemente immorali e disposti a tutto pur di raggiungere i loro scopi. Prima dei trent’anni comunque in pochi si pongono il problema di cosa stiano facendo della propria vita o delle mete
che hanno raggiunto; fino a cinquant’anni, ma serenamente financo a sessanta, si considerano “ragazzi/e” che devono godere della vita senza particolari obblighi. Praticamente tutti hanno una
forte angoscia di fronte all’idea di qualsivoglia assunzione di impegno e responsabilità e infatti rifuggono come la peste l’unione matrimoniale, poiché non vogliono vincoli formali di alcun
genere, ma accampano le scuse più fantasiose per nascondere questa loro paura. Coerentemente, la maggioranza degli individui adulti ha sperimentato il fallimento di almeno un matrimonio o di una
convivenza di lunga durata.
Incapacità genitoriale: molte persone non coltivano più il desiderio di avere figli, la maggior parte provenendo da famiglie separate monogenitoriali, ma quelli che lo perseguono, quando lo
realizzano, si ritrovano inetti all’accudimento e all’allevamento della prole. Le madri, in particolare, anche perché spesso separate e lavoratrici, raramente empatizzano con i loro figli o sono
a conoscenza dei loro più elementari bisogni psicologici, vivendoli spesso come un peso e al contempo usando i bambini come oggetti di attaccamento utili a soddisfare il loro senso di vuoto
affettivo. I padri, analogamente, sono incapaci di qualsivoglia forma di dialogo educativo e gioco condiviso con i loro figli e oscillano dalla completa assenza nella relazione, al disinteresse
radicale per la prole quando presenti, a esplosioni di rabbia e aggressività quando i figli li costringono, di solito in modo disfunzionale, ad intraprendere un rapporto con loro. L’arrivo di
figli spesso non è desiderato dalla coppia e molto spesso, entro l’adolescenza della prole, innesca dinamiche che portano alla rottura la coppia stessa.
Disadattamento infantile: praticamente ogni ragazzino/a che ho visto, spesso figli unici, ha un attaccamento ambivalente verso il genitore, ovvero è totalmente dipendente da esso pur essendo al
contempo frustrato dalla sua inettitudine all’accudimento, vivendo quindi in uno stato mentale che oscilla fra il rabbioso e il depressivo e gli compromette frequentemente, anche a causa
dell’isolamento a cui lo costringono i genitori per sciatteria o timori vari, l’inserimento sano nel gruppo dei pari e la scolarizzazione, entrambi questi aspetti percepiti ormai dalle famiglie
come inutili accessori di una vita familiare incapsulata in un mondo psicotico. Chiaramente, quando questi ragazzi divengono poi costretti, per effetto della crescita, all’interazione con i pari,
sono incapaci di sostenere qualsiasi forma di competizione, inetti alla costruzione di alleanze e forme di collaborazione e infastiditi dall’esistenza di regole condivise, che cercano di eludere
in ogni modo. Disturbi d’ansia e attacchi di panico, insieme a comportamenti aggressivi oppositivi, sono ormai endemici nella popolazione giovanile.
Inadeguatezza sessuale: negli adolescenti e nei giovani adulti la capacità di adottare comportamenti e rituali di corteggiamento al fine di costruire legami di coppia è bassissima. Nella maggior
parte dei casi risulta impossibile un approccio diretto basato sulla comunicazione faccia a faccia, e risulta quindi necessaria la mediazione di un social network o comunque di uno strumento
informatico. Una volta stabilito il contatto, laddove il rapporto non è orientato esclusivamente a consumare un rapporto sessuale occasionale, diviene di immediata co-dipendenza, e anziché
impegnarsi in attività condivise di natura piacevole, rendendosi partecipi dei propri rispettivi interessi (che spesso non esistono), i partner trascorrono ore a comunicarsi in modo ricorsivo i
loro stati interiori, soprattutto problematici, sempre in modo mediato dalla tecnologia. L’attività sessuale è molto bassa, spesso vi sono complicazioni legate a frigidità e impotenza e a scarso
desiderio, e viene considerata normale la scomparsa del sentimento amoroso in favore di una dipendenza ansiosa per la quale la coppia non guarda più al futuro, ma si centra esclusivamente sulla
sua sopravvivenza odierna. I conflitti vengono gestiti attraverso manipolazione psicologica e minacce, innescando dinamiche cicliche di dominanza-sottomissione.
Deprivazione culturale: la stragrande maggioranza delle persone sotto i trentacinque anni è parzialmente analfabeta, conosce e utilizza un vocabolario ristrettissimo e la sua enciclopedia non
riesce ad abbracciare nemmeno conoscenze elementari relative alla vita pratica e quotidiana. Preoccupante è la diffusione dei disturbi specifici dell’apprendimento, anche se ho riscontrato che
nella maggior parte dei casi sono diagnosi errate che rilevano una semplice mancanza di scolarizzazione. La matematica e le scienze, chiaramente per il rigore che comportano, vengono osteggiate,
mentre le discipline umanistiche considerate solamente materie scolastiche di nessuna importanza per l’animo umano, dunque nessun interesse viene coltivato verso le arti di alcun genere. Anche la
pratica degli sport diminuisce di anno in anno, in favore di attività di palestra o, in misura maggiore, di attività videoludiche. L’unico interesse che le persone giovani sembrano coltivare è il
trascorrere del tempo osservando in modo superficiale serie televisive prive di spessore culturale o psicologico e la fruizione di contenuti elementari, di poche parole o poche decine di secondi
di durata, diffusi dai social network.
Normalizzazione della droga: l’uso endemico di prodotti derivati dalla cannabis e quello assai frequente della cocaina nella popolazione fra i venti e i quarant’anni ha portato alla percezione
che queste sostanze siano assimilabili non solo all’alcool, ugualmente diffuso, ma anche al cibo e alle bevande, e dunque considerate imprescindibili per la vita psicologica individuale e il buon
andamento delle relazioni sociali, che nei momenti di sballo e “trasgressione” possono richiedere abitualmente anfetamine e anestetici dissociativi. Curiosamente, una certa diffidenza verso l’uso
di psicofarmaci, spesso considerati dannosi, permane, nonostante le persone ne facciano un consumo sempre più frequente. Anche la “spiritualità”, in particolare quella derivata dalle tradizioni
native americane, non è considerata tale se non è associata a sostanze d’abuso di tipo allucinogeno, e l’avvicinamento a queste pratiche avviene spesso semplicemente perché divengono una cornice
socialmente accettabile per consumare droghe psichedeliche. L’effetto evidente di tali abitudini è la diffusione di tipiche forme di pseudo-demenza con aspetti psicotici, nelle quali si manifesta
una drastica riduzione dell’intelligenza delle persone, qualità già massicciamente compromessa dal degrado culturale, una riduzione della coscienza e della consapevolezza di sé e una
slatentizzazione di tendenze aggressive e paranoidee che compromettono sempre più le capacità relazionali e di contenimento emotivo delle persone e le spingono verso un isolamento nel quale
saranno ancora più motivate ad abusare di sostanze psicoattive.
Anestesia sociale: le persone hanno perso completamente la coscienza di classe, sono disinteressate a qualsivoglia attività politica e subiscono passivamente qualsiasi imposizione provenga da
enti e autorità istituzionali o da semplici figure dotate di potere, alle quali riconoscono una funzione paterna e natura astratta, quasi divina, dunque non comprensibile e non contestabile, che
se possibile è bene eludere e se non si può richiede rassegnata sottomissione. La contestazione franca è disdicevole, socialmente riprovevole, foriera di punizioni collettive cieche e severe e il
dissenso verso l’autorità, anche solo fantasticato, induce ansia abbandonica. La propria stessa sottomissione sociale e le frustrazioni che comporta inducono nell’individuo una rabbia che sarà
rivolta in modo acritico e feroce verso le categorie di devianti di volta in volta indicate dai media governativi, non importa se queste includono individui deboli e innocenti o facenti parte del
proprio gruppo familiare; verranno aggrediti, maltrattati e isolati, dando luogo a un micidiale meccanismo di disgregazione affettiva e sociale che alimenterà paranoia e isolamento
reciproco.
Ok Andrea, col tuo solito ottimismo ci vuoi dire sottilmente che faremo tutti la fine del topo, giusto? A questa domanda insolente rispondo con ferma e serena certezza: come gruppo sociale
inevitabilmente sì, la tendenza è irreversibile da decenni, ma come individui e gruppi di persone non è necessario che vada così, possiamo ancora salvarci e vivere un’esistenza dignitosa insieme
ai nostri cari. La medicina è antitetica alla causa del male, e richiede ovviamente una serie di rimedi di buon senso, che elenco a seguire.
Non fruire mai, per nessun motivo, dei giornali e dei canali televisivi, per evitare la propaganda governativa e la menzogna sistematica e l’induzione del terrore che veicola, fatte salve le
eccezioni dichiaratamente antisistema, come ad esempio ByoBlu, o che hanno il coraggio di sfidare la narrativa imposta dall’alto, come fa spesso il quotidiano LaVerità. Internet e alcune
applicazioni come Telegram sono una fonte sterminata di informazioni indipendenti, impara ad utilizzarle con spirito critico.
Utilizza il meno possibile computer e telefoni “intelligenti”, soprattutto per mediare la comunicazione, prediligi azioni analogiche come leggere libri e incontrare persone dal vivo, favorisci lo
sport di gruppo e di squadra e la vita all’aria aperta, diminuendo le attività individuali al chiuso. Sviluppa la cultura e la conoscenza approfondita di ogni tipo, soprattutto le materie
umanistiche e le scienze naturali, così da acquisire una conoscenza della propria identità storica e culturale e una migliore comprensione del mondo in cui viviamo. Coltiva e pratica le arti,
perché altrimenti finisce che consideri bravi i Maneskin, Michela Murgia e Cattelan. Una volta acquisita un po’ di conoscenza, parlane e condividila, poiché la cultura è tale solo se è viva ed
entra nella vita delle persone.
Crea e alimenta relazioni umane di ogni tipo, il più possibile facendo cose insieme agli altri, metti insieme piccoli gruppi da quattro a dodici persone che oltre a vivere cose belle condividano
le esperienze attraverso il dialogo e il racconto reciproco. Naturalmente apriti e impegnati il più possibile in relazioni sentimentali profonde e durature, cercando di farle arrivare alla
costruzione di un mondo di affetti ampio e ramificato, non importa se comprensivo di legami di sangue o figliolanza; l’amore è universale e deve essere espresso senza riserve.
Assumiti responsabilità e ruoli di comando e guida gli altri senza timore di sbagliare laddove tu possa così beneficiare il prossimo con la tua intelligenza, saggezza e competenza, adotta
condotte altruistiche e caritatevoli senza timore di spenderti troppo, sollecita nelle persone la conoscenza di sé e la crescita personale, perché e vero che la maggior parte delle persone vive
con la stessa consapevolezza di un topo, ma noi possiamo anche arrivare a concepire e perseguire il Bene, e forse così ritroveremo noi stessi e l’armonia perduta.
Credendo Vides!
Andrea