Anima mundi
Atto secondo: Pars construens
Dalla raccolta di racconti di Jorge Luis Borges del 1949, estratto dalla novella “L’Aleph” che dà il titolo all’opera: “Ogni cosa (il cristallo dello specchio, ad esempio) era infinite cose, perché io la vedevo distintamente da tutti i punti dell'universo. Vidi il popoloso mare, vidi l'alba e la sera, vidi le moltitudini d’America, vidi un'argentea ragnatela al centro d’una nera piramide, vidi un labirinto spezzato (era Londra), vidi infiniti occhi vicini che si fissavano in me come in uno specchio, vidi tutti gli specchi del pianeta e nessuno mi riflettè, vidi in un cortile interno di via Soler le stesse mattonelle che trent’anni prima avevo viste nell'andito di una casa di via Fray Bentos, vidi grappoli, neve, tabacco, vene di metallo, vapor d'acqua, vidi convessi deserti equatoriali e ciascuno dei loro granelli di sabbia, vidi ad Inverness una donna che non dimenticherò, vidi la violenta chioma, l'altero corpo, vidi un tumore nel petto, vidi un cerchio di terra secca in un sentiero, dove prima era un albero, vidi in una casa di Adrogué un esemplare della prima versione inglese di Plinio, quella di Philemon Holland, vidi contemporaneamente ogni lettera di ogni pagina (bambino, solevo meravigliarmi del fatto che le lettere di un volume chiuso non si mescolassero e perdessero durante la notte), vidi insieme il giorno e la notte di quel giorno, vidi un tramonto a Querétaro che sembrava riflettere il colore di una rosa nel Bengala, vidi la mia stanza da letto vuota, vidi in un gabinetto di Alkmaar un globo terracqueo posto tra due specchi che lo moltiplicano senza fine, vidi cavalli dalla criniera al vento, su una spiaggia del mar Caspio all'alba, vidi la delicata ossatura d'una mano, vidi i sopravvissuti a una battaglia in atto di mandare cartoline, vidi in una vetrina di Mirzapur un mazzo di carte spagnolo, vidi le ombre oblique di alcune felci sul pavimento di una serra, vidi tigri, stantuffi, bisonti, mareggiate ed eserciti, vidi tutte le formiche che esistono sulla terra, vidi un astrolabio persiano, vidi in un cassetto della scrivania (e la calligrafia mi fece tremare) lettere impudiche, incredibili, precise, che Beatriz aveva dirette a Carlos Argentino, vidi un'adorata tomba alla Chacarita, vidi il resto atroce di quanto deliziosamente era stata Beatriz Viterbo, vidi la circolazione del mio oscuro sangue, vidi il meccanismo dell'amore e la modificazione della morte, vidi l’Aleph, da tutti i punti, vidi nell’Aleph la terra e nella terra di nuovo l’Aleph e nell’Aleph la terra, vidi il mio volto e le mie viscere, vidi il tuo volto, e provai vertigine e piansi, perché i miei occhi avevano visto l'oggetto segreto e supposto, il cui nome usurpano gli uomini, ma che nessun uomo ha contemplato: l'inconcepibile universo”.
2.1. La forza delle cose
Qualche settimana fa ero a cena fra terra e mare a mangiare pesce su un romantico e traballante trabocco abruzzese; nel tavolo accanto al mio una civilissima famiglia italiana era articolata in tre adulti, ritengo uno fosse il nonno, che dialogavano quietamente fra loro e due silenziosissimi bambini sotto ipnosi di fronte a uno smartphone che trasmetteva cartoni animati. Il più piccolo dei due avrà avuto meno di tre anni, peraltro con ancora il ciuccio in bocca, era vicinissimo allo schermo, la sua mente in formazione completamente assorbita dalle immagini in movimento sullo schermo, un cartone animato in grafica 3d che illustrava vicende idiote e senza senso, i suoi neuroni frontali irrimediabilmente bruciacchiati dai campi elettromagnetici emessi dal dispositivo (oh già, dimenticavo che per la nostra medicina ottocentesca queste cose non esistono, chissà come funzionano i loro telefoni, forse scambiandosi molecole attraverso l’etere). La macchina svuotava il creaturo, annichilendone il potenziale, e lo riempiva del suo nulla, con sua madre serena accanto che, avendo già subito in età più matura lo stesso processo di cancellazione dell’intelligenza e della personalità, ogni quindici minuti gli dava una carezza distratta e gli chiedeva “tutto bene?”, serena e indifferente alla mancanza di reazioni e di risposte di suo figlio.
Il povero bambino e i suoi parenti e gli altri presenti in quel luogo, avventori e personale, erano animati da qualcosa che li guidava, ma la qualità di questa forza era diversa per ciascuno: contemplazione della natura, del luogo e del cibo, ebbrezza alcolica, festeggiamento di una ricorrenza, rimembranza delle esperienze e delle sensazioni della giornata trascorsa, tentativi di seduzione, dinamiche familiari e di coppia, esecuzione efficiente dei compiti assegnati, monetizzazione delle relazioni in ottica aziendale e, last but not least, istupidimento, isolamento e alienazione veicolati a mezzo tecnologico. Se i nostri popolani sono dominati da forze di bassissima levatura grazie al fatto che la loro testa è sostanzialmente vuota, pure è vero che nessuno, neppure i pneumatici e gli psichici, è davvero immune dall’influsso emanato da ciò che ci circonda, da energie che lavorano su tutti noi e che provengono da enti artificiali o naturali, simbolici o affettivi, mentali o materiali, naturali o sovrannaturali, le quali operano nel tempo e nello spazio e ci possiedono in vario grado, spingendoci ad agire e reagire in diverso modo e spesso togliendoci quasi completamente la padronanza di noi stessi.
Nell’estratto del racconto di Borges, riportato all’inizio di questo post, lo scettico protagonista della storia, sollecitato dal proprietario dell’Aleph, accetta di guardare dentro questo oggetto immaginario che gli permette di vedere in un istante tutto l’universo e ciò che contiene. L’invidioso protagonista, per far credere al proprietario dell’Aleph che stava impazzendo come temeva, ovvero che l’Aleph non faceva nulla e che questi si sognava tutto, finge di essere impassibile mentre gli stimoli lo invadono, ma in realtà rimane sconvolto da ciò che osserva, perché letteralmente ciò che vede gli entra dentro, diviene da quel momento una parte di lui di cui non potrà più liberarsi. Per spiegare di cosa stia parlando, dell’impatto che l’esperienza degli stimoli ha sulle persone, utilizzerò un altro riferimento proveniente dal mondo della cultura, ovvero le parole di Anton Cechov, un noto scrittore del popolo-che-non-può-essere-nominato, il quale ripeteva a giovani drammaturghi suoi allievi: “Se in un romanzo compare una pistola, bisogna che spari”. Inconsapevolmente Cechov ha formalizzato una verità non limitata solamente ad illustrare un elemento narrativo da armonizzare con la vicenda generale, bensì ha descritto come il potenziale di un oggetto, nel caso specifico di una pistola, sia l’espressione della sua natura ed eserciti un impulso che si proietta nel mondo intorno ad esso, un campo di forza che, relativamente alla pistola, coinvolge e contamina una persona che la impugnerà per sparare o che la nasconderà o la fuggirà per resistere all’influsso che emette. Potremmo dire che la pistola ha una sua anima, la quale ha il potere di possedere chiunque interagirà con lei facendo entrare un pensiero di morte e sopraffazione nella sua mente, un rimuginio inerente al potere minaccioso che dona al suo utilizzatore e che l’individuo potrà assecondare o contrastare, ma non potrà ignorare. E lo stesso potere animico è intrinseco, per esempio, in uno smartphone, una carta di credito, un’automobile, un cibo zuccherato, un edificio istituzionale, una divisa, una certificazione con il titolo ad essa associato, oppure in tutti quegli oggetti animati che quotidianamente interagiscono con noi e che rientrano nel dominio vegetale e animale, dalle piante che abbiamo sul balcone al nostro cane, nonché negli elementi dell’ambienti naturale, ad esempio il vento, il caldo o il tramonto, e pure nei luoghi in cui viviamo e da dove proveniamo, quali nazioni, regioni, città, quartieri o anche singole strade e pianerottoli, compresi luoghi virtuali come le reti sociali, e ovviamente nelle altre persone, siano esse i nostri cari, passanti occasionali o addirittura personaggi di storie che vediamo nei film o che ci vengono raccontate.
È la nostra mente a regalare a tutti questi oggetti una vita energetica o essi sono manifestazioni di entità sussistenti, esseri animici come entità astratte, che ci assorbono in loro come noi li assimiliamo al nostro interno? E che dire poi dei nostri elementi costituenti? Non ha forse il nostro stomaco un’anima sua, che ci spinge a riempirlo anche quando sarebbe dannoso per la salute dell’organismo e le norme sociali? E il pene, che nella letteratura e nella mitologia femminile è descritto come il reale padrone della condotta di un uomo? Analogamente, gli uomini ben sanno quanto le attivazioni uterine possano modificare, seppur temporaneamente, il carattere della donna. E i prodotti della mente come idee, emozioni, ricordi, fantasie, non paiono avere un’anima loro, capace di influenzarci in vario modo, semplicemente comparendo alla nostra coscienza? Anche nella concezione moderna della psiche, quella ad esempio del cognitivismo evoluzionista, il nostro sistema motivazionale è costituito da anime in conflitto: sopravvivenza, attaccamento affettivo, affiliazione sociale, dinamica sessuale e riproduttiva, affermazione vocazionale di sé, ciascuna in competizione con le altre per garantirci il nostro bene proprio come fossero entità viventi a noi legate. E le invenzioni sociali non hanno forse anch’esse un’anima? Basti pensare alla religione, alla politica, alle tradizioni culturali, allo sport e ai simboli che hanno generato; sempre le informatissime donne sanno infatti che il maschio, se e quando viene sopito lo stimolo sessuale, viene governato da quello del gioco del pallone o di altre competizioni sportive (mi sento ahimè menomato per metà). Sembra inoltre, a voler dar credito ad una letteratura assira che risale a migliaia di anni prima di Cristo, che tutti siamo anche influenzati dagli astri, non tanto quelli del cielo stellato, ma quelli idealizzati degli oroscopi di ogni tempo e di ogni cultura, sì che il segno dell’ariete o del cavallo pare mi domini più del mio Io psicologico e degli eventi esistenziali che lo hanno plasmato nel corso della vita. E tutte queste cose e infinite altre, dunque, non assumono il carattere di forze animate e intelligenti con le quali dobbiamo imparare a interagire, ammesso che sia possibile, per non esserne dominati o addirittura distrutti?
Uno psicologo del recente passato, il tanto bistrattato James Gibson, grande studioso della percezione visiva, ha innovato il suo campo di studi elaborando il concetto di “affordance”, ovvero la possibilità di azione e interazione intrinseca in un oggetto, senza che il soggetto percipiente debba farsi un’idea dello stesso attraverso processi cognitivi complessi. Un oggetto di design è tale, infatti, perché la sua funzione viene resa esplicita e suggerita dalla sua estetica e viene immediatamente alla coscienza semplicemente guardandolo, non da un ragionamento che la persona deve operare su di esso. Questo, in realtà, è vero per ogni oggetto percepibile, come per la pistola di Checov descritta sopra. Tali potenzialità intrinseche negli oggetti sono considerate invarianti informazionali e sono strettamente connesse all’ambiente ecologico e simbolico in cui nascono l’oggetto e il soggetto percipiente: ad esempio, gli alberi da frutta nascono in un determinato contesto di attività umana che rende immediata la percezione della funzione del frutto da parte delle persone, e pure la nostra vista è progettata per vedere cose che possono interagire con le varie parti del nostro corpo, e non gli atomi o i gas inerti; discorso analogo per le icone sullo sfondo di un computer agli occhi di un qualsiasi individuo odierno o di un calendario lunisolare inciso nella roccia per un celta di duemila anni fa. Gli oggetti nascono in un contesto simbolico di cui gli individui fruiscono istintivamente, chiamati all’azione dalle cose stesse, non dalla volontà della persona di interagirci. Gibson, insieme a Roger Barker, fonderà la corrente della psicologia ecologica (che nulla aveva a che vedere con l’ambientalismo, grazie a Dio), la quale studia l’azione innescata dalla percezione in contesti dinamici reali, una filosofia della conoscenza che si attaglia perfettamente al nostro discorso, che si spinge però più in là di quanto due studiosi accademici si siano azzardati a fare.
Come dice il nostro buon Platone, infatti, ciò che è identificabile attraverso una dimensione corporea, una qualche forma sensibile o concepibile, fosse anche il suono di una parola o un’immagine mentale, possiede una sua intelligenza, ovvero una sua capacità, per quanto limitata o addirittura passiva, di comprendere e interagire con la realtà, e dunque ha un’anima, una sua radice immateriale e sussistente che è manifestazione di un tutto sottostante, come ci ricorda Plotino, non importa se questo porterà tale ente a collaborare, ignorare o collidere con le altre parti di questo tutto, compresi noi. Facciamo l’esempio di una pietra che sta ferma in un luogo, esercitando la sua forza inerziale e tutte le proprietà del materiale che possiede: fornisce ombra alla lucertola che ci si apposta sotto, si erode opponendosi agli agenti atmosferici, il distaccarsi di un suo frammento schiaccia una formica, il metallo contenuto in essa altera i campi magnetici nella sua immediata prossimità, è protagonista di un minimale decadimento radioattivo e la sua massa esercita una forza gravitazionale non nulla. Insomma, fa un sacco di cose e interagisce parecchio con il mondo intorno a sé e pure con quello più lontano, e naturalmente anche con le dinamiche umane, poiché magari degli uomini si uccideranno considerandola parte di un territorio da conquistare o si ingegneranno per estrarne le preziosità al suo interno o per trasformarla in un materiale da costruzione.
2.2. Ossessione, vessazione e possessione e tentativi di esorcismo
Se una pietra, pur nella sua inerzia, manifesta una dimensione interattiva con il cosmo circostante, cosa possiamo dire invece di una malattia come un tumore o una demenza? Con buona pace della medicina immaginaria studiata nelle accademie in occidente, in generale le malattie, quando non sono espressione di parassiti presenti nell’organismo, sono una reazione del corpo all’assunzione di una vasta gamma di tossine (dallo zucchero alla radioattività) e soprattutto sono la conseguenza di stati interiori traumatici non espressi e somatizzati, nel tentativo fatto dall’organismo di adattarsi a condizioni avverse o di eliminare individui deboli o poco adattabili dalla specie umana, rispondendo a quell’esigenza di selezione naturale così ovvia che pure Darwin ha potuto arrivarci. Nella nostra concettualizzazione sull’origine dei mali la patologia è un processo che si manifesta attraverso lo sviluppo sequenziale di elementi discreti: si inizia con un evento del mondo esterno, il quale viene sentito come un vissuto traumatico in base ai sistemi di significato posseduti dall’individuo, questo vissuto diviene quindi un ricordo in cui l’evento è rielaborato in modo soggettivo e commentato negativamente dallo stesso individuo, la coscienza della persona occasionalmente lo rievoca dal magazzino mnemonico e immediatamente lo sente come qualcosa di altro da Sé, e ciò non sorprende, in quanto l’individuo già all’origine del processo non ha voluto o saputo reagire all’evento scatenante perché incompatibile con la rappresentazione del mondo e dell’Io al momento in cui tutto è accaduto, e dunque anche la rimembranza suscita un nuovo sconvolgimento, il quale dà inizio nuovamente al processo interno. In sintesi, una comune patologia da somatizzazione è costituita da un fatto ancorato nello spazio-tempo, da un’impressione soggettiva di questo fatto, dal ricordo di questa impressione, dalla rievocazione di questo ricordo e da una nuova impressione che questa rimembranza suscita, in una catena infinita e ricorsiva di eventi mentali, ciascuno dei quali ha una sua consistenza parzialmente indipendente dalla persona che lo vive e lo rivive, una vera e propria legione di diavoli che ci pungola e trafigge con i suoi forconi.
Eventi improvvisi, soverchianti e dolorosi come la perdita di una persona amata, la fine di un’impresa importante, tradimenti e abbandoni, violenze e incidenti, divengono nel sentito dell’individuo fantasmi e demoni che lo perseguitano e lo tormentano, sia quando non riesce a scacciarli dalla coscienza, sia quando li seppellisce nei più profondi recessi della psiche. Queste forme-pensiero non sono forse una sorta di spiriti che affliggono la persona ricordandole la sua vulnerabilità, inadeguatezza e fragilità, facendola soffrire incessantemente? Che i ricordi dolorosi, come anche le fantasie che nascono dalle paure e dai vissuti repressi degli individui, siano “entità” energetico-spirituali che parassitano le persone a cui sono legate è un’idea presente già nell’animismo antico e nel medioevo europeo e sopravvive a lungo, tanto che nel diciannovesimo secolo gli esoteristi iniziano a parlare di “eggregore” come forme-pensiero capaci di influenzare la realtà collettiva, oltreché quella personale. Al contrario, la teoria che vuole la sofferenza come un prodotto della psiche che interagisce con la propria storia personale e il proprio ambiente socioculturale, si appoggia ad un concetto di “mente” che, sebbene nasca con la filosofia greca soprattutto ellenistica, nella sua forma matura, pienamente “psicologica”, non compare che un paio di secoli fa all’interno delle discipline della fisiologia e della nascente psichiatria, ed è dunque piuttosto moderno. Nel vissuto comune la sensazione soggettiva prevalente è quella, guarda caso, di maggiore peso storico, ovvero che il pensiero doloroso è un parassita psichico che si nutre di noi e sul quale non abbiamo pressoché alcun controllo, tanto che i miei pazienti spesso mi rimarcano di non avere alcun “interruttore” che possa spegnere la sofferenza, che invece dovrebbe logicamente esserci se tutto il male fosse autoprodotto. Nonostante la percezione parassitaria, il normale processo psicoterapeutico opera un convincimento del paziente, di solito efficace, che parte dal presupposto che questi stia operando su una parte di sé e non su un’entità esterna. E allora come stanno le cose? Cercheremo di scoprirlo andando avanti.
Torniamo intanto a questa ipotetica malattia da cui siamo partiti; che dire delle manifestazioni sintomatiche che la identificano? Non conosco nessuno che non percepisca come una realtà estranea al proprio Sé, almeno per la maggior parte del tempo, le modifiche fisiologiche che una malattia gli infligge. La gente, specialmente se ha un’autostima decente, non dice di solito “io non funziono”, ma enuncia: “il mio corpo non funziona, lo stomaco non digerisce, la gamba non si muove, la schiena fa male, la testa mi scoppia, il tumore mi cresce dentro, la sclerosi mi sta paralizzando, la memoria mi inganna” e via dicendo, ovvero distingue l’Io che percepisce il male dal luogo del male in questione, spesso identificando una doppia entità parassitaria, ovvero un’ipotetica malattia, ad esempio “l’ipertensione”, da un sintomo che vi ritiene associato, tipo “l’impotenza”. A queste due essenze aliene può aggiungere anche vissuti interiori che ritiene causali o conseguenziali, poniamo il caso di una non meglio precisata “personalità ansiosa” che si accompagna alla rievocazione di specifici “ricordi traumatici”. La persona entra così in un dialogo fra sé e una molteplicità di entità maligne percepite più o meno in relazione fra loro; se poi prendiamo in esame le malattie che nascono da stati di intossicazione o da parassiti, allora la sensazione di essere in battaglia contro entità nemiche raggiunge il suo apice, siano esse l’alcool, lo stafilococco aureo o la candida albicans, e non è affatto insolito che le persone si lancino in dialoghi ricchi di suppliche, promesse, improperi e minacce verso queste entità, in qualche modo convinte, almeno a livello subconscio, che possano ascoltarle e assecondarle.
Concezioni animistiche di tal fatta non si sono conservate solo nel sentire comune, ma anche nel mondo che ama definirsi “scientifico” (spirito di Popper, salvaci tu!): è assai studiato dagli antropologi come la medicina di ogni latitudine, compresa quella occidentale, abbia strutturato un’infinita gamma di rituali completamente privi di una logica che non sia magica, ma che vengono utilizzati quotidianamente nella cura dei pazienti. Tralasciando l’abituale prescrizione della sequela di indagini inutili che si fanno appunto ritualmente di fronte ad un qualsiasi sintomo ambiguo, basti immaginare “il professore/primario” col suo camice immacolato e accessori di lusso che ne fuoriescono, attorniato da specializzandi e servitù varia che ossequiosamente lo segue e lo blandisce, gira per i corridoi dell’ospedale a chiedere ai disgraziati ricoverati: “allora giovanotto, come va oggi?”, ben sapendo che il giovanotto ha novant’anni e lo considera una sorta di divinità che miracolosamente lo sta degnando di attenzione, che l’uomo col camice non ascolterà una parola di quanto gli risponderà e che applicherà in ogni caso il protocollo previsto per ciò che è stato scritto nella sua cartella clinica. Proprio l’applicazione cieca di protocolli di trattamento basati sull’evidenza (tipo la tachipirina e la vigile attesa, per intenderci), considerati una procedura piuttosto controversa anche all’interno del mondo della medicina, sono molto simili alle procedure magiche descritte nei grimorii cinquecenteschi, per logica sottostante e metodologia applicativa, cambia solo il sistema concettale di riferimento.
Ma le pratiche magiche non mancano certo nelle procedure psicoterapiche, con i loro modelli di trattamento protetti da diritto d’autore che dovresti applicare solo se ti compri il corso di formazione specifico (la cosa farebbe ridere, se non facesse piangere), e le innumerevoli scuole di psicoterapia che propagandano trattamenti che hanno senso solo all’interno di teorie astratte e autoreferenziali. Fra tutte, le psicoterapie di matrice gestaltica, quelle che hanno ispirato la pratica della psicomagia di Alejandro Jodorowsky, incentrano la risoluzione del sintomo psichico su tecniche che appaiono in tutto e per tutto una versione morbida di pratiche sciamaniche, facendo ad esempio dialogare il paziente con parti del suo corpo, con i suoi stati mentali accorpati in personalità secondarie, con i suoi cari estinti e via dicendo. La differenza con la pratica sciamanica è solo il contesto di credenze, perché la gestalt therapie, per dirla alla Fritz Perls, immagina che sia sempre il paziente in qualche modo a parlare con sé stesso, mentre gli animisti considerano gli spiriti evocati come interlocutori reali. Cambiando corrente teorica, idee spiritistiche primitive sono pure prepotentemente sottese anche alla teoria junghiana degli archetipi e dell’inconscio collettivo, di fatto entità immateriali collocate in una sorta di dimensione energetica compenetrante la psiche di ogni uomo, e i seguaci di Carl Gustav Jung le pensano davvero come entità reali che trascendono la mente del paziente.
Insomma, il punto non è se concepire i disturbi psichici in termini di rappresentazioni mentali o di spiriti parassitari, e analogamente pure le malattie fisiche, ma comprendere quale sia la strada per interagire con queste realtà al fine di risolverle, ovvero se tali condizioni sono prodotte dell’individuo, e allora è su questo che bisogna concentrare l’azione terapeutica, o se sono dotati di una loro indipendenza poiché possiedono una qualche attività mentale che li rende capaci di condotte intenzionali e magari intelligenti, nel qual caso l’azione risolutiva va concentrata su di loro, lasciando l’individuo in secondo piano. Dobbiamo perciò continuare a praticare trattamenti che lavorino esclusivamente sulla mente e il corpo della persona, pure su entrambi in modo olistico, o dobbiamo recuperare un’azione magica ed esorcistica, come facevano i guaritori antichi, che integri o sostituisca tali trattamenti? Il problema non è così assurdo come può apparire, se teniamo conto che oggi i trattamenti medici sia ufficiali che alternativi alla meglio “funzionicchiano”, quando invece non compromettono la salute del paziente, al di là delle chiacchiere istituzionali sulla loro presunta efficacia, mentre quelli psicologici non solo hanno uno scarso tasso di efficacia (negli anni ’70 era pari alla guarigione spontanea), ma richiedono pure tempi lunghi per raggiungere un qualche effetto. A quanto pare, questo mirabolante mondo moderno non è così progredito come dichiara di essere.
2.3. Breve storia del panpsichismo
Torniamo allora senza indugio alla questione di fondo, ovvero alla natura della realtà in cui viviamo e sviluppiamo il distinguo tecnico con cui ho aperto il post: se l’animismo vede il mondo animato dalla volontà e dai comportamenti degli spiriti ed è una concezione dunque religiosa, l’idea che una qualche sorta di mente cosciente sia posseduta da ogni cosa si definisce invece panpsichismo. Sorprenderà molti, ma questa idea è stata sostenuta dalla filosofia nel corso dell’intera storia umana, eccezion fatta per qualche decennio di declino fra il diciannovesimo e il ventesimo secolo, quando ha prevalso un meccanicismo riduzionista disconnesso dalla realtà. Esaminiamo allora più approfonditamente il panpsichismo e vediamo se può dirimere qualche dubbio riguardo la natura della realtà e il modo opportuno di agire su di essa.
Abbiamo visto che l’idea di un mondo vivo animato dalla sostanza dell’Uno nasce già nell’antica Grecia, con il platonismo prima e lo stoicismo poi, prosegue col neoplatonismo e lo gnosticismo antico, i quali vedono in vario modo lo pneuma emesso dal Logos infondere il tutto, cosicché le idee platoniche, oltre a trascendere il mondo, divengono immanenti alla natura, ragione costitutiva dei singoli organismi e di tutto ciò che esiste e realizzano come insieme quella forza intelligente che è l’Anima del mondo, più o meno finalistica e orientata al bene a seconda delle correnti. Questo panpsichismo antico, ingabbiato dalla scolastica cattolica, rinasce e va incontro a un vivace sviluppo nel Rinascimento: Bernardino Telesio divideva rigidamente il mondo naturale fisico da quello spirituale metafisico, ma riteneva che il secondo potesse generare il primo e sosteneva che l’intelligenza era una facoltà propria di tutti gli esseri viventi, mentre Tommaso Campanella, sviluppando il naturalismo di Telesio entro il neoplatonismo di Marsilio Ficino, sostiene che le tre primalità divine di Potenza, Sapienza e Amore sono estese a tutti gli enti e che ogni cosa possiede una sua sensibilità ed è in qualche grado senziente. Campanella sostiene inoltre che il sapiente che vuole conoscere il mondo e in qualche modo operare su di esso, sta praticando una forma di magia poiché, anche se agisce sul piano strettamente materiale, è il mondo fisico stesso ad essere intrinsecamente sovrannaturale e dunque non si può scindere la “magia naturale” da quella di altri generi (come l’alta magia, la magia nera, rossa e via elencando). In queste concezioni rinascimentali si sottolinea infatti che, poiché la realtà ha una dimensione spirituale sottostante, scienza e magia non solo possono ma devono coesistere per comprenderla e agire entro di essa in modo appropriato ed efficace.
Top di gamma del panpsichismo rinascimentale è stato Giordano Bruno (del quale troppo spesso girano sui social aforismi inventati, manco avesse scritto poco) il quale, dopo essere stato sottoposto a tortura, con la lingua serrata è stato denudato e bruciato vivo dalla Santa Madre Chiesa Cattolica sulla pubblica piazza, che ieri come oggi porta nel mondo l’amore cristico, e per finire in bellezza ne ha fatto spargere le ceneri nel Tevere. La colpa imperdonabile del povero Giordano è di aver concepito l'universo come un corpo unico ordinato che struttura ogni cosa e la connette con tutte le altre, avendo a suo fondamento le idee divine, principi eterni e immutabili presenti in modo esteso e simultaneo nella mente di Dio, l’immenso archetipo, le quali divengono ombre di sé stesse nel processo emanativo che le porta a manifestarsi nel piano materiale. Al mondo delle idee divine e a quello materiale in cui esse si manifestano, Bruno aggiunge il mondo mentale della contemplazione di Dio e della natura; attraverso l’intelletto, l’uomo può risalire dalle ombre alla luce divina da cui provengono partendo dai sensi e utilizzando appropriatamente la fantasia, l’immaginazione e la memoria così che potrà conoscere tutti e tre i mondi sopra citati (Giordano sviluppa dunque anche un’interessante riflessione metacognitiva decisamente prima del tempo). Di fatto, però, Dio rimane inconoscibile e può essere studiato solo tramite le sue manifestazioni, e dunque sono la natura e la mente che devono essere oggetto di una filosofia guidata dalla fede. Siffatto esercizio dell’intelletto porta alla conclusione che tutta la materia è vita e la vita è nella materia, e che Dio non può essere al di fuori del mondo fisico, poiché non esiste un ente esterno alla natura; Dio è ogni cosa, compresi noi, e nella nostra mente risuona come un “senso interiore” che ci spinge al bene e alla conoscenza.
Andandosela proprio a cercare, il nostro Giordano aveva difeso ed elogiato la teoria dell’astronomo polacco Niccolò Copernico, morto da pochi anni, il cui mondo celeste era ancora finito e delimitato dalle stelle fisse. Bruno, seguendo Nicola Cusano, introduce allora l’idea che l’universo è infinito, senza centro o confini, poiché è effetto di una causa infinita ed è sciocco concepire un universo nel cui centro dovrebbe trovarsi immobile il Sole, come prima vi si immaginava fosse la Terra. Per la stessa ragione ipotizza l’esistenza di infiniti mondi e sostiene che, se su questi ci fossero degli abitatori simili agli umani, speculerebbero sul cosmo non meno di quanto facciamo noi, ma lo farebbero dal loro punto di vista, sicché il ragionamento sulle cose diviene relativo. Bruno è ovviamente consapevole che la Bibbia sostiene tutt’altro, ma non volendo rinnegare i suoi ragionamenti, disconosce allora il sacro testo, collocandolo entro le opere morali e bollandolo come un testo metaforico le cui affermazioni di filosofia naturale non devono essere prese sul serio. Per il nostro, l’idea che Dio abbia creato il mondo per poi fermarsi non ha senso; ritiene infatti assurdo che l’Uno possa aver posto un limite a sé stesso, e dunque l’universo deve essere immaginato come un organismo vivente, il corpo divino, nel quale in una multiforme materia infinita è insita la vita, esistente da sempre, e che perennemente muta.
Conclusioni oltremodo pericolose per la sua epoca, come anche in questa, dove parlare di Dio in ambito scientifico può costare molto caro, e infatti Bruno osserva che gli uomini rivelano una natura bestiale e ottusa, fatta di avarizia, stupidità e pedanteria, a causa della quale l’intelletto per funzionare deve essere guidato dall’amore per Dio e facilitato da una serie di pratiche, come: raccogliersi in solitudine, restare immobili, concentrarsi sull'immagine di una cosa o su un singolo senso, sentire la fede, l’amore, il timore, il dolore, il desiderio, mortificare il corpo, immergersi nella speculazione. L’amore, la forza vivificatrice del mondo che sostiene le azioni e ci fa tendere verso il mondo supremo, deve allora accompagnarsi alla creatività e all’arte, che ha il suo fondamento nella natura, in quell’anima del mondo che la ispira. Per lo studioso, gli intermediari dell’intelletto tra enti fisici e metafisici devono essere da un lato la matematica e la geometria, che consentono l’astrazione fisica, e dall’altro l’alta magia, che lavora sull’astrazione metafisica; proprio la connessione divina fra tutte le cose consente l’azione di un corpo su un altro tramite vincoli e legature di carattere simbolico, quali preghiere, riti, caratteri alfanumerici, sigilli geometrici e simili, cui Bruno attribuisce reali capacità di agire sul mondo e le persone. Giordano rifiuta il cattolicesimo per una religione civile e naturale, strettamente connessa all’etica e all’ontologia e ispirata, come scrive nello “Spaccio della Bestia Trionfante”, al modello degli antichi egizi e romani che “non adoravano Giove, come lui fusse la divinità, ma adoravano la divinità come fusse in Giove”. Occorre tornare alla semplicità, alla verità e all’operosità, rinnegando le attuali concezioni morali che deridono gli eroi, che vogliono imporre credenze acritiche per le quali imposture umane sono fatte passare per ispirazioni divine, ove la legge naturale viene perversa, lo studio è considerato follia, le ricchezze meglio dell’onore, l’eleganza meglio della dignità e vengono promossi la malizia, il tradimento, la finzione, la tirannia e la violenza (ieri come oggi diamine, ieri come oggi). Per questo mio migliore amico di tutta la vita (come una volta una mia vicina di casa, colta da me in fragrante, definì il suo amante) il cristianesimo è responsabile di questo degrado, essendo una religione anti-naturalistica e anti-civilistica fondata sulla menzogna, quella iniziata da Paolo di Tarso con la sua dottrina della remissione dei peccati umani per mezzo della crocifissione del Cristo, e resa vergognosa da Martin Lutero, “la macchia del mondo”, che propugnava la giustificazione dell’uomo davanti a Dio per la sola fede, senza il fardello di dover operare bene per liberarsi del karma (e meno male che non ha conosciuto Papa Francesco, si sarebbe dato fuoco da solo).
Andando avanti più speditamente con la nostra trattazione del panpsichismo, un secolo dopo Giordano Bruno nasce Gottfried Wilhelm von Leibniz, considerato un genio assoluto per le sue innovazioni nel campo della matematica, il quale sviluppa il concetto di idee divine costituenti l’anima del mondo chiamandole “monadi”. Per lui le monadi sono assimilabili ad atomi spirituali eterni, indivisibili, individuali, che seguono proprie leggi senza interagire con le altre. Ognuna riflette l’universo dal suo punto di vista ed è coordinata con le altre per mezzo di un'armonia prestabilita; la pluralità di monadi è permessa dal diverso grado di coscienza, di modo che ogni monade è tutte le altre, ma con infiniti e diversi gradi di consapevolezza fino a Dio, che è la monade delle monadi. La percezione è la loro qualità fondamentale e a differenziarle una dall’altra è il gradiente qualitativo di essa; anche se ognuna percepisce l’intero universo in modo limitato e confuso, “appercepisce”, ovvero è consapevole di percepire, solo la parte dell’universo più vicina a sé. Le entelechie, le monadi più primitive, percepiscono tutto in modo inconsapevole (come rocce e piante); le anime, le monadi degli esseri animati (come gli animali), possono utilizzare la memoria e percepiscono in modo più preciso; gli spiriti, infine, propri degli esseri umani, possiedono la nozione di sé e la capacità di arrivare alla verità. L’anima del mondo risulta così strutturata in diversi livelli di autocoscienza, dal più basso a quello di Dio, e le infinite monadi, pur vivendo ognuna in un mondo proprio, sono coordinate tra loro così che le percezioni delle une corrispondono alla realtà ontologica delle altre; coscienza e la consapevolezza in vari gradi sono proprie di tutti gli enti dell’universo. Leibniz, aderente ai presupposti del suo ragionamento che vedono la divina monade assoluta come perfetta, sostiene che le imperfezioni del mondo sono solo apparenti e che questo è il migliore tra i mondi possibili; manco a dirlo, questa affermazione gli verrà contestata innumerevoli volte. Il panpsichismo di Leibniz verrà elaborato dal settecentesco Pierre-Louis Moreau de Maupertuis, scienziato e filosofo francese interessato prevalentemente all’applicazione e al superamento delle leggi di Newton, che aggiunge alle monadi una dimensione finalistica, ovvero l’idea che le cose tendano ad un fine evolutivo, concetto che porta avanti con i suoi pionieristici studi sugli embrioni, anticipatori della moderna genetica, e sul moto dei sistemi: “ecco, dunque, il principio così saggio, così degno dell'Essere Supremo: appena si verifica un qualche cambiamento nella Natura, la quantità d'azione impiegata per questo cambiamento è sempre la minore possibile”. Fisici e matematici ritenevano naturale, fino alle soglie del 1800, intrecciare concetti metafisici e spiritualistici allo studio del mondo materiale, e tutto questo oggi è completamente misconosciuto, come se fosse possibile scindere le teorie della fisica da quelle della metafisica; mala tempora currunt, sed peiora parantur.
2.4. Il secolo dell’oscurità
Gli sviluppi della prima rivoluzione industriale, seguiti a metà dell’Ottocento dalla seconda, cambiarono la cultura dominante poiché la logica del profitto e dello sfruttamento non erano compatibili con la sensibilità dell’Anima mundi, e la filosofia inizia ad allinearsi al pragmatismo e al meccanicismo determinista e riduzionista. Il positivismo, ispirato e giustificato dalla filosofia di Hegel, non può riconoscere dignità alla vita, ma deve giustificarne il depauperamento e la distruzione a beneficio dei pochi che possiedono il potere, e rapidamente darà vita all’epoca dei totalitarismi.
Il primo nato di questi fascismi è lo stesso che ancora opprime il mondo, ovvero quello del paese degli Avengers, nato con le parole di Alexis de Tocqueville del 1835 che, nella sua opera “Democrazia in America”, parla di “eccezionalismo americano”, ovvero delinea il manifesto di un nazionalismo visionario in cui gli Stati Uniti sarebbero l’unica nazione fuori dalle leggi della Storia, vincoli a cui tutti gli altri paesi devono sottostare, e se ne sottraggono per mezzo della benedizione divina, della superiorità razziale e della prosperità ambientale del nuovo mondo colonizzato per volontà celeste. Questo delirio messianico, nato circa duecento anni prima dall’ideologia di alcuni coloni puritani, ha conferito agli Stati Uniti quell’ambizione universalistica per la quale si autorappresentano come la nazione dal compito, noto come “destino manifesto”, di plasmare, intervenire e trasformare l’ordine internazionale secondo i propri principi, valori e interessi. Da questo pensiero moralmente perverso, mentalmente malato e materialmente opportunistico nasce l’imposizione liberista, economicamente subordinata agli USA, a quei disgraziati paesi che, come il nostro, hanno perso una delle innumerevoli guerre condotte dagli Avengers con e senza il loro braccio armato della NATO, o che sono stati infiltrati dai loro politici, attraverso cambi di regime ottenuti per mezzo di atti terroristici o rivolte popolari prezzolate. Forse, grazie all’inevitabile de-dollarizzazione, alla frammentazione dell’unione causata da una probabile guerra civile pronta allo scoppio, al continuo sviluppo dei BRICS e alla nascita di nuove potenze e alleanze militari, un giorno usciremo dal giogo degli accordi di Bretton Woods e del Washington Consensus e saremo nuovamente liberi.
Tornando all’abbrutimento materialistico ottocentesco, che quello odierno è fin troppo deprimente, le concezioni nate nel corso di quel secolo ispireranno la moderna medicina “scientifica” prima e la psicologia comportamentista poi, derivazioni dal pensiero di Julien Offray de La Mettrie, il classico borghese benestante edonista e libertino di fine Settecento che, prima di morire male a quarant’anni per i suoi stravizi, scrisse molte opere che scandalizzarono il pubblico dell’epoca e il cui contenuto può essere raccolto nell’idea di “uomo-macchina”. Questa concezione, contraria ad ogni tipo di metafisica, sostiene che l’uomo sia semplicemente un apparato meccanico che non necessita di enti e principi spirituali per essere compreso; l’energia che lo anima è semplicemente quella del suo movimento ed esso è guidato da istinti intrinseci i quali si appoggiano alla capacità di sentire posseduta da ogni parte del corpo. Identico in tutto e per tutto ad animali e piante, rispetto a questi l’uomo possiede quel solo vantaggio della capacità immaginativa e di rappresentazione simbolica, che l’ha reso capace di progresso e di civiltà (come gli evoluzionisti e i panpsichisti materialisti moderni, non è però in grado di spiegare da quale parte della macchina verrebbe fuori questa meravigliosa capacità interiore). In modo analogo a Hegel, La Mettrie sostiene che il popolo non deve essere libero di autodeterminarsi, ma va guidato da scienziati e medici che naturalmente la pensino come lui. Come vedete, Yuval Noah Harari, l’ideologo israeliano del Nuovo Ordine Mondiale, non si è inventato nulla e costruisce il suo successo popolare, come pure i suoi orribili consimili, sull’ignoranza storico-culturale di un popolino che ha perso ogni coscienza di classe e vive per servire.
Questa nuova concezione meccanica dell’essere umano, che appunto serve a chi ha potere per mantenerlo, a partire dal Novecento divide il dibattito sul panpsichismo in due correnti, quella che si riaggancia alla tradizione di matrice neoplatonica per cui dalla fonte divina discendono le idee e da esse si manifesta una realtà viva e animata, e quella che nasce dal meccanicismo ottocentesco, che sviluppa un paradigma inverso. Alcuni studiosi contemporanei, come l’etologo Richard Dawkins, che sviluppano neanche troppo le teorie di La Mettrie, negano l’esistenza di qualsivoglia coscienza e in generale della mente, riducendo gli umani a zombies senza vita interiore addestrabili e programmabili, e ritengono coerentemente il dibattito sulla coscienza e il panpsichismo senza senso. Altri autori, pur materialisti e riduzionisti, ma più intelligenti, si rendono conto di non poter respingere l’esistenza della mente e della coscienza e devono allora interpretarle come proprietà immanenti la materia e negare o considerare insignificante un’eventuale entità divina (alla faccia delle due dimostrazioni matematiche dell’esistenza di Dio prodotte da Leibniz e di quella elaborata dal contemporaneo Kurt Friedrich Gödel, pure implementata e confermata da un programma per computer, a riprova del fatto che le scienze esatte vengono chiamate in ballo solo quando fa comodo all’ideologia e alla propaganda). Questo approccio materialistico contemporaneo al panpsichismo segue una determinata logica: esiste solo il mondo fisico perché è l’unico sensibile (il che è un assunto ingenuo o religioso, ma tant’è), l’esistenza della coscienza umana non può essere negata o ridotta a epifenomeno dei processi nervosi (il “problema difficile” introdotto dal filosofo David Chalmers), dunque la coscienza umana deve nascere da altri processi della materia non strettamente biologici, e poiché tali attività fisiche sono condivise da ogni cosa, se ne deduce che la coscienza è una proprietà intrinseca della materia, oplà!
Il miglior riassunto della faccenda sopra descritta, prescindendo dalle innumerevoli questioni di lana caprina, lo fanno i neuroscienziati Giulio Tononi e Christof Koch con la loro “teoria dell’informazione integrata”, secondo la quale la coscienza emerge in ogni sistema fisico integrato e differenziato composto da numerose particelle interconnesse distinte entro le quali avviene un’attività, come sono appunto i neuroni nel cervello sia umano che animale, e la coscienza che ne deriva è graduata, ovvero cresce di grado a seconda della complessità del sistema. Alcune varianti di queste tesi riduzioniste, cui appartiene ad esempio il pensiero del matematico Roger Penrose, vedono l’ente fisico, o almeno il cervello, generare un fenomeno quantistico individuale associato che potenzialmente può sopravvivere alla morte, ipotizzando in sostanza che lo spirito delle cose nasca dal loro corpo, così che Dio sarebbe creato dal cosmo e non viceversa. Il punto debole di queste teorie è proprio quello per cui, rinunciando al riconoscimento dell’esistenza di una sostanza metafisica dello spirito come presente e interveniente nell’universo, non riescono a spiegare esattamente in che modo l’interazione materiale, anche a livello atomico o subatomico, genererebbe una qualsivoglia forma di mente cosciente, quindi come e perché la cosiddetta “informazione integrata” si trasformerebbe in coscienza interiore soggettiva; se ci provano, devono necessariamente ricorrere a forme astratte e fumose di energia, come quella dei fenomeni quantistici, le quali non sono altro che un nuovo modo di chiamare l’Anima del mondo.
2.5. L’Anima del mondo
Come accennavo prima, un’altra corrente di ricercatori, consapevole dell’assurdo logico appena descritto, ha portato avanti in varia forma la concezione neoplatonica dell’Anima del mondo. Intorno al 1920 nasceva la fisica quantistica e l’umano consesso (eccezion fatta per i medici) scopriva che la realtà materiale era generata e sostenuta nei suoi processi da campi di forze sottostanti e interagiva con essi, che questi campi sussistevano a prescindere dal manifestarsi della materia e che l’intero universo era il frutto, in parte deterministico, di questo ribollire quantico. Grazie a questa cornice concettuale, oggi sappiamo che l’universo ha avuto origine oltre tredici miliardi di anni fa con l’evento inconoscibile del Big Bang, un’espansione dello spazio a partire da un punto, infintamente denso e caldo, dal quale l’energia che fluiva iniziò a creare le particelle subatomiche che avrebbero formato trecentomila anni dopo i primi atomi, e un centinaio di milioni di anni dopo le prime stelle; la rapidità superiore alla velocità della luce dei primi istanti di questa espansione ha determinato la curvatura dell’universo e la sua forma di disco quasi piatto. Il Big Bang avvenne pare per l’interazione fra un “inflatone” e la fluttuazione energetica nel vuoto quantistico, capace di creare e annichilire continuamente particelle e antiparticelle, ma questa interazione non è motivata in alcun modo; inoltre, il nostro universo è calibrato su arbitrari rapporti numerici costanti, non variabili, pure essi non giustificati da alcunché. E allora, dobbiamo dedurre che siamo un fenomeno casuale all’interno di una possibilità infinita, come sostenevano gli atomisti greci e lo Stephen Hawking contemporaneo, oppure siamo il prodotto di un’azione intenzionale pianificata da un potere illimitato? Non essendoci traccia osservabile di altri universi paralleli, volendo rimanere nei limiti dell’esperibile ne consegue necessariamente che “qualcosa” sia dietro alla nostra comparsa: uno a zero per animisti e plotiniani versus agnostici e materialisti postmoderni.
Anche la vita, indipendentemente dalle nostre osservazioni limitate, deve essere un fenomeno ubiquitario nell’universo. Basti pensare che solo l’orizzonte osservabile contiene più di cento miliardi di galassie, ciascuna contenente non meno di sei miliardi di pianeti simili alla Terra, senza ipotizzare i potenziali habitat per forme di vite differenti da quelle terrestri. La vita deve essere intrinseca all’universo, ovvero la sua comparsa deve fare parte del contenuto informazionale generativo previsto dall’impulso energetico iniziale, poiché è impossibile che sia comparsa sulla Terra in forma di batteri capaci di generare ossigeno neanche cinquecento milioni di anni dopo la formazione del pianeta; è un tempo troppo breve per lo sviluppo di tanta complessità genetica, e a riprova di ciò un’analisi matematica inversa, operata sul genoma batterico lo scorso anno da Alexei Sharov e Richard Gordon, data l’origine della vita terrestre a circa dieci miliardi di anni fa. La vita ha dunque avuto origine più o meno in contemporanea allo sviluppo delle galassie stabili e dei loro aggregati (quindi fuori dalla Terra, che ha meno di cinque miliardi di anni) e la sua comparsa è determinata in modo simile all’aggregazione atomica e alla formazione dei corpi celesti. Insomma, una qualche intelligenza creatrice è intrinseca alla materia ed è manifestazione di una realtà trascendente di natura animica, esattamente come dicevano Platone e gli animisti molto prima di lui, e nessun modello casualistico riesce a produrre ipotesi neanche lontanamente vicine al dato di realtà; la genesi della vita resta impossibile, più che inspiegabile, entro un quadro materialistico.
L’origine dell’universo e della vita come espressione di una forza a suo modo intelligente è in linea col concetto di campo, inteso come energia ordinatrice connessa alla materia. Un’idea di campo energetico ordinatore, con un’azione morfica sulla materia che rimanda alle idee divine di stampo neoplatonico, non è però necessariamente condivisa da tutti gli studiosi che ne hanno esaminato sfaccettature e implicazioni. Fra i contributi interessanti sul tema ricordo quello di Emilio Del Giudice e Giuliano Preparata, che hanno riscontrato come l’attività biologica avvenga in relazione al grado di ordine molecolare presente nell’acqua, chiamato “dominio di coerenza”, che nel citosol è di solito elevato. Ciò permette all’acqua cellulare di produrre energia come una batteria ossidoriducente, ma soprattutto di ricevere l’informazione di molteplici campi energetici, annidati l’uno dentro l’altro, su svariati livelli di complessità, manifestando capacità di “supercoerenza”. Come ha dimostrato l’epigenetica e spiegato molto bene Bruce Lipton, il citosol diviene il mezzo che rende capace il corpo di ricevere le istruzioni di attivazione morfica, indirizzate al DNA, sia da parte della barriera cellulare, e quindi dell’ambiente organismico, sia da parte dei campi energetici che interagiscono col corpo. A riprova di ciò, gli esperimenti di Luc Montaigner e Del Giudice dimostrano che il segnale elettromagnetico generato da un DNA batterico o virale, anche scorporato dalla sua origine perché registrato e riprodotto, quando viene immesso in un’acqua contenente molecole biologiche ricostituisce senza errore il DNA di origine.
Queste evidenze odierne confermano le ricerche e le teorie in campo biologico formulate nei decenni precedenti dagli studi sullo sviluppo embrionale del biologo Hans Spemann e di Paul Alfred Weiss, dalle idee di Conrad Hal Waddington sullo sviluppo degli organi in base a “creodi” cellulari, ovvero percorsi obbligati di crescita posseduti intrinsecamente, dalla teoria di auto-organizzazione anti-entropica cellulare di Ilya Prigogine, e dalla sintesi dello scrittore e giornalista Arthur Koestler, che ha coniato il termine “olone” per indicare la parte di un sistema complesso sovraordinato dotata di individualità, a sua volta composta da sottosistemi olonici; da qui nasce il termine “olistico” che oggi tutti usano quando si tratta di considerare le persone in termini di complessità interna, ambientale e relazionale. Quando la spinta all’autoaffermazione di un olone è bilanciata dalla tendenza a rimanere parte di un tutto superiore, allora il sistema e le sue parti mantengono il loro equilibrio e prosperano, mentre se prevale il conflitto il sistema entra in crisi e tende all’autodistruzione; l’esempio immediato è quello delle persone facenti parte di un gruppo sociale, inserito in una comunità, collocata in una nazione e così a crescere, a loro volta costituite da insiemi cellulari, fatte da molecole, composte da atomi, aggregati di particelle subatomiche, e così a scendere.
Sul versante della fisica, il panpsichismo neoplatonico è perfettamente coerente con le idee di Louis De Broglie, che nel 1924 aveva esteso l’idea di Albert Einstein della doppia natura della luce, ondulatoria e corpuscolare, a tutta la materia, di modo che ad ogni cosa esistente è associato un campo energetico che la informa e ne determina le proprietà. David Bohm considera questa corrispondenza morfica di energia e materia una forza cosmica, e la chiama “ordine implicato”, descrivendola come capace di sviluppare su molteplici livelli manifesti gli stessi principi organizzativi unitari. Il biologo Rupert Sheldrake, partendo da Bohm, ritorna alla biologia e rinomina l’ordine implicato “causalità formativa” in quanto gli riconosce una tendenza finalistica, e attribuisce ai “campi morfici” degli esseri proprietà evolutive e trasformative mediate dalla risonanza così ben descritte da Plotino. Insomma, l’Anima intelligente informa la materia e la vita nel cosmo, e gli unici che possono turbarsi di fronte a questo fatto sono gli ingenui spettatori che hanno creduto che SuperQuark fosse una trasmissione di divulgazione scientifica, quel confusionario e sconclusionato programma di propaganda pieno di sciocchezze (di cui salvo solo i contributi di quell’eccellente etologo che fu Danilo Mainardi), diretto dall’arcinoto iniziato alla massoneria defunto qualche anno fa e pianto neanche fosse un Papa; o forse lo era, di una sorta di religione atea irrazionalista che oggi va per la maggiore perché serve a chi comanda, a braccetto con l’altra religione atea e irrazionalista nota come Cattolicesimo parrocchiale.
2.6. Parlare con gli spiriti
Insomma, ogni cosa esistente, visibile e invisibile, è espressione di una forza sottostante, manifestazione molteplice di un’unica fonte, interagisce in modi complessi con tutte le altre cose esistenti e mantiene una sua indipendenza intrinseca, pur facendo parte del tutto, una propria vitalità e un certo grado di coscienza, e fino a qui tutto ok, lo avrebbe capito anche un bambino. Che dire però delle entità disincarnate, onnipresenti nelle credenze umane, quali defunti, larve astrali, elementali, esseri celestiali e abissali, divinità e via elencando? Questa roba non è descritta chiaramente nelle teorie panpsichiste, nonostante Plotino o Giordano Bruno ne accettino l’esistenza e le considerino espressioni dell’Uno trascendente partecipi dell’Anima del mondo, seppure su un livello diverso da quello occupato dalle entità del mondo materiale, mentre nell’animismo sono considerate forze intelligenti, sebbene disincarnate, assolutamente non dissimili per azione, presenza e importanza dalle persone, dagli animali e dalle piante. Domandarsi se gli spiriti esistano e quale ne sia la natura non è peregrino poiché, come hanno fatto innumerevoli altri sacerdoti, stregoni, maghi e guaritori tradizionali prima di me, quando nella psicogita ho esorcizzato lo spirito di un defunto e un’entità minore proveniente dal “mondo di sotto”, è necessario comprendere se ho compiuto un’azione reale che ha agito su un ente metafisico, comunque interagente col mondo fisico, oppure un’azione mentale di ordine simbolico. Capirlo è dirimente per implementare le mie capacità curative, mica per riflettere sul sesso degli angeli; il dubbio, infatti, mi ha tormentato finora e richiede ragionamento risolutivo.
Che il nostro corpo sia animato da uno spirito che sopravvive alla morte ce lo hanno dimostrato gli studi sulle esperienze di morte temporanea, e l’esistenza di corpi energetici privi di associati biologici ci viene rivelata da straordinarie invenzioni come quelle di Daniele Gullà, oltreché ci viene raccontato da veggenti e sensitivi di varia capacità e tipologia, nonché da testi afferenti a diverse tradizioni religiose contenenti verità rivelate sul mondo ultraterreno. Gli studiosi materialisti stessi affermano che i campi energetici non necessitano di corpi densi per esistere e per interagire col mondo materiale, nonostante l’associazione con un corpo materiale renda un campo energetico più consistente, definito, potente nell’azione spaziale e perdurante nel tempo. Insomma, per farla breve, entità intelligenti disincarnate o almeno prive di un corpo analogo al nostro sono logicamente accettabili, compatibili con le leggi della natura e del mondo fisico, occasionalmente osservabili e misurabili dai sensi umani e da strumenti tecnologici, nonostante la loro essenza e complessità rimangano ancora oggi misteriose e impenetrabili.
Faccio passeggiate e attività nella natura, in boschi, prati, campagne, colline e montagne fin dalla mia più tenera età, e ho dimestichezza con ogni condizione atmosferica che lì possa manifestarsi. Durante la psicogita, quando abbiamo raggiunto il luogo scelto da me per la nostra prima attività sciamanica, uno strano e fortissimo vento si è alzato, portando con sé insoliti rumori di piante e versi animali, e non si è acquietato fino a che non abbiamo finito. Raggiunto il luogo dell’attività successiva, il calar della notte è stato accompagnato da una coltre di nebbiosa foschia che ci circondava, più esattamente ci avvolgeva, arrivando fin sopra le cime degli alberi, isolando il nostro spazio dal territorio circostante, un velo che schermava movimenti fugaci di animali che nessuno riusciva a vedere nitidamente (qualcuno dirà poi che forse c’erano dei lupi). Tutti i partecipanti hanno percepito l’anomalia presente in queste situazioni, non senza una certa inquietudine, ed io ero più perplesso di loro, a fronte del fatto che avevo già operato pratiche simili in altri contesti naturali senza mai che vi fossero sensazioni particolari derivanti dall’ambiente, e in generale non sono un tipo suggestionabile. Senza tema di smentita da parte di tutti quelli che erano lì, posso dire che quel vento e quella foschia avevano un’anima loro, esercitavano minacciosamente una qualche strana azione intenzionale su di noi e portavano dentro di essi presenze indefinite, delle quali, in un modo o nell’altro, bisognava tener conto.
Nella mia vita ho avuto modo di entrare in contatto con cose che potrebbero ascriversi ad entità sovrannaturali, e riporto solo quelle esperienze condivise da testimoni che hanno avuto le stesse percezioni o comprovate da mezzi tecnologici: in una villa di campagna considerata infestata, durante una cena con i proprietari, ho visto oggetti saltare dal tavolo e rovesciarsi senza che nessuno li toccasse, e i presenti, me compreso, venivano chiamati per nome a gran voce da persone lontane e invisibili; in una vacanza a Matera le foto scattate durante una passeggiata serale ai “sassi” hanno rivelato diversi globi di luce, in uno dei quali compariva nitidamente un volto umano; in una piccola galleria d’arte di Sutri, una mia amica, scattando una foto alla parete, non ha immortalato le opere, ma una oscura sagoma umana che sale su un’impossibile scala bianca; in un’altra foto, un autoritratto fattosi dalla figlia di una coppia di conoscenti, afflitta da gravi problemi psichici, ha rivelato una creatura oscura nello specchio dove la ragazza si rifletteva; due diverse foto fatte ad un punto del sentiero durante il sopralluogo per l’ultima psicogita hanno rivelato una struttura geometrica mobile fatta di luce blu, simile ad un piccolo aquilone traslucido; la stessa entità è stata immortalata in un’altra fotografia quest’estate vicino la Sacra di San Michele nel torinese; in ultimo, più volte e in più luoghi, sempre insieme a testimoni, ho assistito al fenomeno delle “stelle che camminano”, sfere di luce fatte apparentemente di nulla che scendono dal cielo notturno, finanche ad arrivare a terra, emettendo luci abbaglianti di tonalità blu o rossa che sembrano pulsare in modo non casuale, come fossero una qualche sorta di linguaggio. Da questo elenco ho escluso tutte le esperienze private, quelle prodotte tramite foto e video da persone che non conosco direttamente e con le quali non ho legami e quelle di altra categoria, come avvistamenti di ufo o la conoscenza di persone che manifestavano inequivocabili segni di possessione diabolica, che pure non mi mancano.
Le mie conclusioni sono che i fatti parlano e le chiacchiere stanno a zero: qualcosa esiste nel mondo insieme a noi, ma non fa parte della natura come noi normalmente la conosciamo. A riprova di ciò, nel segreto del mio studio molti pazienti, assolutamente non psicotici e culturalmente lontani dal paranormale e dalla spiritualità (ricordate le mie quarantaseimila ore di pratica clinica, giusto? aggiungeteci laurea quinquennale e specializzazione entrambe con il massimo dei voti, a riprova delle mie competenze in materia), mi hanno raccontato vicende nelle quali sono state molestate da entità varie, perlopiù fantasmi e poltergeist, più uno che è stato infestato da uno spirito venuto fuori da una seduta spiritica e un altro, un uomo la cui casa veniva devastata periodicamente da quello che riteneva essere un demone, che occasionalmente possedeva anche suo figlio, ma che risiedeva stabilmente nella ex-moglie, descritta come una pazza crudele, responsabile di vari tentati omicidi. In tutti questi casi le situazioni sono state risolte solamente grazie all’intervento di preti esorcisti, di anziane medium e veggenti, padrone della stessa magica competenza pretesca, e dalle preghiere di una vecchissima suora, descritta come una mistica e prossima alla morte; medici, psichiatri e psicologi di fronte a queste problematiche si sono rivelati inutili come un politico italiano di fronte alle esigenze della nazione. Nel mio piccolo, in casi analoghi meno connotati in senso sovrannaturale, ho verificato che la recitazione in privato di preghiere d’esorcismo, come regalare talismani benedetti di vario genere (tipo monete di San Benedetto o amuleti buddisti tailandesi) a quei pazienti che per inclinazione e sensibilità potevano apprezzarlo, ha prodotto significativi effetti positivi nella vita di queste persone; fosse anche l’effetto di semplice suggestione, tipo quella emanata dal camice di un medico, alla fine il risultato è quello che conta.
Operando però un’analisi più approfondita, diciamo psicologica, di quanto ho appreso sul mondo degli spiriti, attraverso le letture afferenti all’esoterismo, al folklore e alle religioni e tramite l’esperienza personale, ho capito che la dinamica esistenziale che riguarda le entità disincarnate non è dissimile da quella che spiega il funzionamento mentale degli individui: tutto ruota intorno, potrà apparire strano, al tentativo di acquisire valore agli occhi di qualcuno. Partendo dalle divinità o sedicenti tali, per poi scendere ad esseri di un certo peso che farebbero parte delle loro schiere di servitori, arrivando agli esseri indipendenti costituenti un sottobosco incorporeo che si affaccia sui mondi materiali, per finire con l’anima dei nostri defunti (mi risparmio la battutaccia in romanesco), tutti vogliono le stesse cose: essere pregati o che si preghi per loro o comunque entrare in un qualche dialogo con gli individui; essere adorati con le più svariate forme di devozione, dal sacrificio umano a doni di ogni sorta fino alle celebrazioni rituali a carattere simbolico; sperimentare poi in qualche grado la vita materiale utilizzando le persone, volenti o inconsapevoli, come strumento; far credere alla gente di poter esercitare un potere sul mondo e sugli individui, capacità che si manifesterebbe attraverso grazie e miracoli che sarebbero in grado di far avere ai devoti, sia singoli che gruppi estesi dalla dimensione di una coppia a quella di una nazione, o tramite piccoli interventi, come quelli fatti da spiriti di basso rango, tipo un nonno morto, ad esempio, che darebbe al nipote ancora in vita un aiutino per una qualche problematica mondana, oppure ancora elargendo semplici benedizioni dagli effetti non meglio precisati, oppure garantendo un posto migliore nell’aldilà di quello che altrimenti spetterebbe alla persona.
Fenomeno particolare appare poi essere quello dei medium che, in varie forme, fanno da tramite fra presunti spiriti dei morti e i vivi con loro imparentati, a cui i defunti chiedono le solite cose, ovvero pensieri, preghiere, celebrazioni di varia sorta, gesti rituali e in generale un dialogo che gli dia attenzione. Assumendo per ipotesi che tutti i medium, capaci di produrre prove dei loro contatti, siano onesti e abbiano reali esperienze sovrannaturali e non, per assurdo, che possiedano la capacità di leggere nel pensiero dei vivi o di prevedere il futuro, certo abilità straordinarie, ma non medianiche, che gli permetterebbero comunque di stupire il povero soggetto che a loro si rivolge, nessuno può garantire che loro stessi non siano usati in modo parassitario da entità di ogni sorta. Essendo il pensiero un’emissione energetica o un prodotto che la implica, un essere immateriale potrebbe avere elevata facilità nel rilevare tale emissione e farla propria, spacciandosi in modo convincente per un caro estinto o per una figura religiosa, tipo un angelo o la Madonna. Allo stesso modo, essendo il tempo scritto e determinato nello spazio infinito in termini di energie fisiche, a un essere incorporeo non dovrebbe essere impossibile accedere alla percezione di qualcosa che riguarda il passato, il futuro o eventi lontani che avvengono nel presente “intrecciati” con il flusso energetico della persona viva.
A riprova che i medium possano essere usati inconsapevolmente, e assai verosimilmente lo sono, da esseri che si approfittano di loro, c’è da rilevare che la letteratura religiosa antica e quella esoterica medievale e rinascimentale non fanno che mettere in guardia il mistico e il mago sul fatto che gli spiriti siano inaffidabili e mendaci, e che l’interazione con loro deve sempre prevedere sistemi difensivi e mezzi di sottomissione; esattamente quello che faremmo se fossimo costretti a interagire con persone losche, alle quali vogliamo però chiedere aiuto per questioni personali di varia sorta. Nella vita di Antonio, scritta da Atanasio nel 300 d.C. circa, leggiamo: “Sono astuti e pronti a trasformarsi in tutte le immagini e le forme. Spesso simulano anche di cantare i salmi e, senza essere visti, recitano le parole delle Scritture. Molte volte, mentre noi leggiamo, essi ripetono subito come un’eco le cose che noi leggiamo; mentre dormiamo, ci incitano a pregare e fanno questo di continuo, impedendoci quasi di dormire. Altre volte, dopo aver assunto le sembianze di monaci, parlano come uomini devoti per ingannarci con un aspetto simile al nostro e poi trascinano dove vogliono coloro che hanno sedotto. Ma essi non devono essere ascoltati neppure se spingono a pregare, neppure se esortano a non mangiare, neppure quando fingono di accusarci e di rimproverarci per dei peccati di cui, come noi, sono a conoscenza. Non si comportano così in nome della fede o della verità, ma per portare alla disperazione le persone semplici e rendere inutile la pratica ascetica. […] Quando di notte si presentano da voi e vogliono parlarvi del futuro, o dicono ‘Noi siamo gli angeli’, non ascoltateli perché mentono. Se elogiano la vostra ascesi e vi chiamano beati, non ascoltateli, né prestate loro attenzione. Piuttosto segnate con la croce voi e la vostra dimora e pregate. […] Una volta mi apparve un demone molto alto che osò dirmi: “Io sono la potenza di Dio, io sono la Provvidenza. Cosa vuoi che io ti doni?”. Io allora soffiai contro di lui pronunciando il nome di Cristo e tentai di colpirlo […] e subito quello, così grande, insieme con tutti i suoi demoni, scomparve”. Da rilevare anche che in tutta la letteratura biblica composta fino al 100 d.C. circa non esiste alcuna esortazione a invocare o pregare gli angeli o altre creature sovrannaturali, anzi. Pure nella precedente letteratura mazdea, che ha ispirato il giudaismo post-esilico e il cristianesimo successivo, quelli che sembrano spiriti benevoli, gli Amesha Spenta, e che vengono adorati e pregati, è esplicitamente detto che non sono entità autonome, ma manifestazioni particolari dello spirito divino, mentre esseri come i “deva” e gli “asura” è opportuno che stiano al posto loro.
Concetto ripetuto incessantemente dagli spiriti, di cui siamo informati dalla letteratura religiosa e folkloristica a riguardo, è la loro necessità di ricevere una sorta di permesso, da parte del vivente, per poter entrare nella sua sfera personale e compiere azioni di varia sorta; anche gli esseri divini necessiterebbero che i credenti abbiano fede in loro per concedere le loro grazie. Dai miracoli che hanno beneficiano le persone per effetto della fede che avevano in Gesù, riportati nei vari vangeli, alla concezione medievale secondo la quale i vampiri non possono entrare nelle case se non quando vengono invitati, o che il diavolo non possa prendere l’anima di una persona perbene se non facendo un patto con esso, o ancora che una seduta spiritica sarebbe pericolosa perché permetterebbe agli spiriti invocati di legarsi alle persone presenti, l’idea che l’azione sovrannaturale abbia bisogno di un qualche permesso mentale per avvenire è fortemente radicata nella cultura e nell’esperienza umana. Per la stessa logica, infestazioni di luoghi e possessioni di persone, attestate già dalla letteratura greco-romana del primo secolo dopo Cristo, avverrebbero perché si sono compiute azioni “pericolose” in termini metafisici o perché, in assenza di tali condotte irresponsabili, il sistema immunitario animico dell’individuo presentava un qualche difetto intrinseco, analogamente a quanto avviene per il suo corrispettivo biologico.
A fronte di quanto sopra, è naturale osservare che il desiderio di essere riconosciuti come figure di valore, anche autorevoli, il ricevere doni o attestazioni di stima e sottomissione, ed essere richiesti, ammirati e temuti per le proprie capacità, sono desideri intrinseci tanto negli spiriti quanto nella specie umana. Tanto è vera questa necessità interiore che il nostro stesso sviluppo mentale avviene per mezzo di una dinamica di relazione con altre persone, in primis familiari, poi con il mondo sociale e materiale in generale; lo psicologo Erik Erikson e lo psichiatra Daniel Siegel hanno prodotto estesi studi a riguardo. Progressivamente arriviamo a farci riconoscere dagli altri prima come individui separati, poi come persone autonome, se tutto va bene considerate amabili e stimabili, dotate di valore, capacità, competenze e vocazioni, e infine giungiamo ad acquisire un qualche tipo di potere sugli altri, acquisendo una vasta gamma di ruoli e status sociali all’interno del variegato mondo simbolico delle relazioni umane. Insomma, senza dinamiche di relazione affettiva e di potere relazionale, soprattutto di tipo simbolico, la mente umana, la nostra stessa identità come specie, verrebbe meno in un istante e torneremmo ad uno stadio di vita animale.
A questo punto della trattazione, un ilico immaginario che abbia letto il mio scritto potrebbe formulare due affermazioni critiche che lo farebbero sentire davvero sagace. La prima è: “ho letto nei post che parlano delle idee di Daniel Dennett e di Richard Dawkins, che sono degli esperti, che non abbiamo nessuna mente evoluta, nessuna coscienza reale, ma solamente istinti animali, e la ricerca di attenzioni e di potere serve solo alla riproduzione sessuata, cioè a scopa’!”. Questo ilico, il più intelligente e istruito del mondo, non fa che riprendere le tesi sociobiologiche di Osborne Wilson, un biologo specialista nello studio delle formiche che molto ha scritto, non si sa perché, pure sul comportamento umano. La risposta alla suddetta provocazione è banale, semplicemente ancorata all’esperienza quotidiana: per riprodursi, come insegnano gli animali, non c’è bisogno di sviluppare una mente cosciente e un mondo simbolico, che dunque deve avere tutt’altra funzione e finalità, e non solo questa ovvietà la copula delle bestie ce la insegna quotidianamente, ma pure la saggezza siciliana ci ricorda che “la minchia non vuole pensieri”, frase efficace per rammentarci come l’attività di una mente evoluta sia d’ostacolo al comportamento riproduttivo, e non il contrario. Discorso analogo si può sviluppare anche su un’argomentazione relativa alla possibilità che la nostra complessità mentale esisterebbe per favorire dinamiche altruistiche, capaci di massimizzare la nostra sopravvivenza. Basta osservare, mo’ ce vo’, il comportamento delle formiche per capire quanto la specie umana sia tutt’altro che altruistica, ma anzi prosperi nel conflitto e nella sopraffazione, pure con la benedizione di eventuali sfere celesti, come ci ricorda il Mahabharata. Tanto più si consolida, infatti, il senso dell’Io, quanto più si sente diminuire l’appartenenza ad un gruppo e la volontà di collaborare e interagire con esso, che è il problema esistenziale tipico degli individui intelligenti con una personalità forte; si parla infatti, a ragione, delle spinte egoiche come perlopiù contrapposte agli slanci altruistici. Maggiore è la forza del mondo mentale, più lontano ci porta dalla nostra base animale, a riprova che da questa certo non nasce la psiche.
La seconda affermazione del nostro ilico immaginario è meno grossolana, anche se a questo punto la rabbia per la figuraccia conseguente al rilevamento della fallacia della prima inquina la sua sensazione di sentirsi arguto e perspicace: “tu attribuisci ai cosiddetti spiriti, Piero Angela salvaci tu, dinamiche mentali tipicamente umane perché stai semplicemente proiettando su di loro quello che vedi nella gente intorno a te. Immagini un mondo di spiriti che comunicano con le persone, pure una vita dopo la morte, per lo stesso motivo per cui credi che uno scaldabagno sia cosciente, cioè perché ti angosci all’idea che esista solo il mondo materiale. Come diceva Orson Wells: ‘Nasciamo soli, viviamo soli, moriamo soli. Solo attraverso i nostri amori e l’amicizia si può creare l’illusione, per un momento, di non essere soli’, e poi tutti sanno che la vita in fondo non è altro che lavoro e fatica per il pane e per la fica”. Che profondità questi ilici, quanto apparente acume e avvedutezza, efficace schermo per non vedere l’addestramento acquisito; peccato che la risposta a questa seconda provocazione sia quasi più semplice della prima. Innanzitutto, la dimensione energetica immateriale e l’azione dei campi morfici preesistono alla materia, come dimostra il Big Bang; quindi, semmai è la materia a non essere necessaria per il cosmo, non il contrario. Ovvero, nei termini del nostro discorso, la dimensione spirituale è necessariamente gerarchicamente sovraordinata a quella umana, tanto che è più logico pensare che la nostra vita sia il frutto della fantasia di quelle entità che non l’opposto. In secondo luogo, il fatto che più verosimilmente, come ogni ente materiale, noi siamo spiriti incarnati (non si sa poi perché, probabilmente per disgrazia o accidente) o che abbiamo comunque un corrispettivo sul piano animico, e non che gli spiriti siano nostri prodotti immaginari, è reso evidente da una serie di caratteristiche della nostra mente, con la sua coscienza di sé e le sue capacità simboliche e tutto il resto. La nostra psiche, infatti, non ha eguali nella dimensione biologica terrestre; neppure ha alcuna necessità evolutiva, tanto che tutti agli altri viventi prosperano benissimo, pure meglio di noi, con una mente semplificata, vedi piccioni e scarafaggi, giusto per dirne un paio; né può essere spiegata con l’attività cerebrale umana, qualitativamente identica nelle strutture e nei processi a quella di altri mammiferi superiori, e solo per alcuni aspetti quantitativamente superiore ed efficiente, comunque inadeguati a spiegare l’emergere dell’Io e della consapevolezza di sé; laddove poi, attraverso artifizi logici, si vuole definire la mente cosciente come una proprietà emergente di un cervello così complesso, non riuscendo a collocare sul piano della materia i prodotti di questa coscienza, devono essere allora evocate dimensioni fumose, come quelle quantistiche, entro le quali questi troverebbero dimora, ma che altro non sono che rappresentazioni post-moderne del mondo spirituale, come detto in precedenza.
Insomma, noi siamo creazioni o emanazioni o comunque prodotti di un mondo invisibile al di là della materia, che interagisce con noi, almeno in parte, per avere la nostra attenzione, quasi che senza di essa perdesse consistenza, valore e potere. Le religioni ci hanno raccontato che l’uomo ha bisogno del divino per affrontare la vita e conoscere sé stesso, ma io ritengo altresì vero l’opposto, ovvero che il mondo divino abbia bisogno dell’uomo e in generale dell’interazione con la materia per trovare e sviluppare la sua identità, e questo è un concetto piuttosto in sintonia con la concezione metafisica intrinseca all’animismo. Nella speculazione sul perché di questa dinamica mentale reciproca fra l’umano e il divino, la posizione del monaco irlandese altomedievale Giovanni Scoto Eriugena, ad esempio, è che se Dio è meta e fine del mondo, poiché tutto ciò che proviene da un principio tende naturalmente a tornarvici, allora è l’uomo che, posto in una dimensione fra il naturale corporeo e il sovrannaturale mentale, quando utilizza l’intelletto che Dio gli ha donato per ricostruire la ragione delle cose e la loro unità d’essenza, permette il ritorno dell’universo a Dio, poiché questi impara a conoscersi tramite la capacità di pensiero che ha donato alle sue creature. Fra le opinioni diverse, decisamente meno consolatorie, troviamo invece quella del chimico Corrado Malanga, che vede il rapporto fra entità spirituali ed esseri umani in termini predatori e parassitari, con le prime, in realtà razze aliene più o meno prive di corpo fisico, che ingannano i terrestri assecondando le loro fantasie religiose al fine di nutrirsi dei loro pensieri e delle loro emozioni, così da garantirsi un prolungamento indefinito della loro lunghissima esistenza; una rielaborazione davvero originale delle antiche concezioni gnostiche.
Sia come sia, non c’è dubbio che gli spiriti, sotto forme innumerevoli, dal culto dei morti alle madonne piangenti fino alla religione civile della bandiera americana, siano fin troppo presenti nella nostra vita, e a me qualche sospetto questo fatto lo solleva, sebbene riconosca che la verità a riguardo rimane infattibile scoprire. Nell’impossibilità di svelare il mistero, vado allora alla dimensione pratica di tutta questa storia, meta finale di questa lunghissima speculazione, ovvero all’esame dei modi tramite i quali l’uomo può acquisire potere sul mondo dello spirito e le entità che lo abitano, divenendo così più capace di promuovere la sua salute, il suo sviluppo e la risoluzione dei suoi guai, nella misura in cui, da un lato, impara a regolare il suo atteggiamento verso di loro, e dall’altro diviene cosciente di quanto gli spiriti infusi nelle cose del mondo, e nella sua stessa mente, lo influenzano e lo possiedono.
Se per arginare il potere delle cose su di noi, di cui tanto abbiamo parlato in precedenza, si richiede di acquisire un distacco ascetico dalle stesse o, più pragmaticamente, una relazione d’uso che tolga ad esse ogni sacralità, riducendola a meri oggetti da sciupare per poi gettarli via una volta consumati ed esauriti e sostituirli con altri nuovi, compresi i ricordi e i valori del passato e buona parte delle esperienze del presente, come teorizzava in modo un po’ nichilista il compianto filosofo Manlio Sgalambro, più complessa è la regolazione attiva del rapporto col mondo dello spirito da parte della persona. Senza dilungarmi troppo (più di così…), trovo che la risposta migliore sul problema ce l’abbia data l’occultista parigino del primo Ottocento Eliphas Lévi, al secolo Alphonse Louis Constant, secondo il quale il dominio sul mondo dello spirito si può ottenere solo attraverso i quattro principi che questi fa risalire alla Cabala medievale: “un’intelligenza illuminata dallo studio, un coraggio che nulla può far vacillare, una volontà che nulla può spezzare, e una discrezione che nulla può inquinare o corrompere: SAPERE, OSARE, VOLERE, TACERE. Queste sono le quattro parole del mago”.
Secondo Lévi, Il sapere è l’esercizio della ragione che deve fecondare la fede, ricompensa del sapere e scopo dei suoi sforzi, senza il quale questa creerebbe solo fantasie; è necessario imparare, ragionare e dubitare se ciò che si scopre contrasta con la nostra ragione, ma mai rifiutare di conoscere qualcosa per pregiudizio o per preconcetto, soprattutto il mondo sovrannaturale e la metafisica (“tolto l’impossibile, ciò che rimane, per quanto improbabile, deve essere vero”, faceva dire Conan Doyle al suo Sherlock Holmes). L’osare è l’atteggiamento che nasce dalla rassicurazione fornita dal sapere consolidato, e vuol dire avere il coraggio di andare oltre il conosciuto per affrontare l’ignoto; Lévi sosteneva che se le religioni impongono dogmi e filosofie, seguendo le quali chi non osa dubitare magari arriverà alla salvezza, e analogamente forse accadrà lo stesso ai credenti dei dogmi civili e scientifici, chi oserà mettere tutto in discussione potrà scoprire innumerevoli mondi, e il suo pensiero abbraccerà schemi nuovi, impensabili prima; se la fede nella natura divina del proprio intelletto avrà sostenuto questa ricerca, egli troverà la salvezza in un mondo senza confini. Tale coraggio, però, senza il sostegno di una volontà adeguata potrebbe essere inutile o dannoso, pure con una solida conoscenza alle spalle; non tutto ciò che si vuole è saggio e bisogna imparare a volere ciò che il proprio Sé superiore necessita in una prospettiva di trascendenza e, solo allora, tutto ciò che vorremo certamente si compirà. Il tacere, infine, riguarda il segreto che connota l’esoterismo; storicamente una giusta cautela per non finire sul rogo, ed oggi una forma di saggio riserbo volto a far arrivare le Verità e le conoscenze utili al dominio di Sé e del mondo solo alle persone pronte a comprenderle e moralmente meritevoli di riceverle; il mago, il mistico, l’illuminato devono tacere, perché comprendono che il segreto svelato è solo per loro e il potere da questo acquisito non può essere utile a nessun altro.
Ordunque, caro lettore, anche a quest’ultimo principio dovrò allora attenermi. Potrò solo dire che, alla fine di tutto, ho capito quanto segue: il “locus of control”, è tutto ciò che conta, come ho scritto abbondantemente l’estate scorsa, e se non sai già di cosa parlo, vatti a leggere quell’altro papiro. Perché le persone possano essere libere devono smettere di proiettare il loro pensiero a destra e a manca, soprattutto fuori di loro e sulle cose intorno a loro e dentro di loro: solo il Sé conta, solo lo sviluppo del proprio potenziale è il fine opportuno e necessario; salute, gioia, amore e affermazione sociale verranno di conseguenza, come effetto e non come causa della consapevolezza del proprio potenziale vocazionale, bagaglio che abbiamo il compito di sviluppare e svolgere in ogni istante della nostra vita. Lo strumento di partenza per far ciò è il movimento e il lavoro del corpo nel mondo materiale e sociale; laddove non basti, ci si concentri sul mondo interiore, sulla mente e sull’uso delle sue innumerevoli dotazioni; e se questo non fosse ancora sufficiente, allora si attivino le facoltà volitive dell’anima affinché ci si liberi dei parassiti più sottili, così che i morti vengano seppelliti dai morti e che gli spiriti vengano scacciati e, quando non è possibile allontanarli, che siano comandati. Se pure questo non sarà sufficiente, chi lo vuole, e crede di essere ascoltato, potrà allora appellarsi con fede al Dio ultimo aldilà del mondo; la risonanza che abbiamo con esso ci eleverà quanto basta.
Conclusioni
“Ma quindi”, dice lo psichico che ha letto sin qui, “‘sti spiriti esistono?”. Sì, ma non te ne preoccupare; studia, conosci te stesso, e metti a posto la tua vita.